Bonomo e la Wonder Woman della porta accanto

La vocazione esistenziale e la valorizzazione del talento contro raccomandazione, favoritismo, corruzione nel romanzo “Navel” di Maristella Bonomo. Protagonista Dora, una trentenne con un curriculum importante, ma precaria nel lavoro, nell’amore, nella vita… Un romanzo divertente e profondo, dalla sorprendente scrittura ritmica e musicale

«Il problema è che fin dal nascita ci abituano a essere corretti. E quindi corrotti»
Uno spaccato della società contemporanea corretta e corrotta, è quella che Maristella Bonomo, prodigiosa scrittrice, regista e traduttrice catanese – con una laurea al Dams di Bologna, un dottorato di italianistica e una specializzazione in film e creative writing alla Columbia University – racconta nel suo ultimo romanzo, Navel (164 pagine, 15 euro), pubblicato da Gilgamesh editore.

Senza lavoro, senza amore

Dora è una trentenne dal curriculum stellato, caparbia, brillante, talentuosa e disoccupata. Infettata dalla piaga del mortificante precariato, impossibilitata a far valere le proprie competenze nel mercato evanescente italiano, trascorre le giornate in corsa tra micro lavoretti sottopagati, appuntamenti e colloqui che terminano con la pedissequa cantilena del «le faremo sapere!». Ingombrata da cartelle zeppe di presentazioni, progetti, bandi, curriculum vitae e buste da spedire, ogni giorno al suono della sveglia, carica di buoni propositi corre, provando a realizzare il sogno di lavorare con quello che sa fare. «Non ci sono soldi per la ricerca, non ci sono soldi per la santità». Rientrata in Sicilia dopo la fine di una storia d’amore, Dora si trova a fronteggiare oltre all’alienazione lavorativa, una fastidiosa emicrania a grappolo che mina la quotidianità, e una madre che la rimprovera di essere ancora senza marito e senza lavoro. La scintilla che accende il romanzo, e anche la rabbia della stessa protagonista, scatta nel momento in cui Dora è costretta condividere un progetto scolastico con tale Mister X, uno sbarbatello di 22 anni che, nonostante il solo misero – prodigioso diploma, viene giudicato all’altezza di occupare quel posto di lavoro, non per titoli o competenze, ma per arruolanti conoscenze che in Italia pare facciano curriculum. «È giusto dover ascoltare una persona che non sa di cosa parla? Non sa nemmeno come ne parla? È giusto dover pensare che in Italia funziona così?».

Scontro generazionale

Dora non ci sta. Cerca il proprio riscatto e combatte contro l’angoscia di non sapere cosa l’attende domani o dopodomani; senza trovare termini adeguati per rispondere con affermazioni o certezze all’ansia riflessa sui propri familiari che, per osmosi condividono quella sua precarietà esistenziale: vivere nel qui e adesso diventa il mantra, progettare a lunga scadenza sembra utopia. «Io voglio lavorare per dare qualcosa di me al mondo». Tuttavia, Dora prosegue rigida come una soldatessa in quello scontro che non è più solo personale, ma generazionale. Animata da un profondo senso di giustizia, si ribella agli stereotipi e alla madre che vede nel matrimonio la garanzia di una sicurezza futura : «Mia madre mi rimprovera di tutto. Non accadrebbe se avessi un buon lavoro, un anello al dito e magari fossi in dolce attesa di un pargolo (…) . Non so perché non mi piace accettare compromessi: vorrei sentirmi libera di sperimentarmi dove sono portata. Lo ritengo un mio diritto, lo dice anche l’articolo 4 della Costituzione che ho imparato a memoria, per poterlo citare quando occorre, azionando il mini-disco simile a quelle bambole canterine anni ’80 che mi regalavano da bambina ai compleanni».

«Il mio nome è Nessuno»

Lasciare Roma per tornare in Sicilia dopo la fine di una storia d’amore alienante con Qualcuno, equivale a ricominciare da capo, ripartire da zero e questo, Dora, lo sa bene. È consapevole che ad attenderla sarà una sfida più ardua di quella appena conclusa, ma non arretra affidandosi alla speranza, forse orwelliana, e all’incoscienza dei folli e degli eroi «Non mi piacciono questi pensieri, essere a corto di pietà, con il cuore vetroso, contro l’abisso che, forse, da quando lo conosco, si sta aprendo dentro Qualcuno, che si crede dio ed è un coglione, dio solo di se stesso. Qualcuno potrebbe dire che ho molto da perdere, andandomene. Me ne frego. Chiudo la cerniera come facendo una piroetta (…) Scordati di me da questo momento in poi. Il mio nome è Nessuno»

Nin e Fellini

Dora è la costruzione di una personalità affascinante e complessa, celata dietro un aspetto semplice, innocuo, forse banale. È l’insospettabile ragazza della porta accanto che, come Diane Prince nasconde però l’abbagliante tenacia di Wonder Woman, svelandone poco alla volta tutte le sfumature, durante la lettura del romanzo: ha una predilezione feticista per occhiali dalle montature aggravate, fuma con voluttà sigarette di tabacco, segue corsi di danza, ha un’immaginazione fiammeggiante in continua metamorfosi, è dotata di squarci abbaglianti che mi domandano apparizioni, legge i diari di Anais Nin, guarda film di Fellini, discute di neuroni a specchio, si batte per le ingiustizie. E, come se non bastasse, ad accrescere l’ironico, rocambolesco e quasi delirante racconto brechtiano d’una coscienza inquieta, in perenne dialogo con se stessa (fino addirittura a rivedersi in una sconosciuta che vaga in città, e che Dora decreta essere sua sosia tanto da inseguirla per scoprirne la vita misteriosa), in cui sembra che il fato, in questa sua ricerca di lavoro, sia concentrato a invertire le correnti del mare e confondere le traiettorie degli uccelli, si aggiunge anche un demone: quello del malessere e dell’emicrania ( a grappolo) di cui lei soffre e le assicura visite mediche a scadenza regolare. Il demone però esiste davvero e si chiama Antaura. «Dottore, lei sa chi è Antaura? (…) È un demone donna. Dalle contrazioni del suo utero cosmico afferra la mia tempia mortale , trascinandomi nella terra del terrore. Una crepa umida si apre improvvisa nell’asfalto del cranio, e benvenuti, comincia la follia. – Silenzio – Dottore, cambiando sesso risolverei qualcosa?».

Un viaggio nel deserto di una società frustrante

Un lungo, fluido e divertente dialogo con se stessa, un diario personale, un viaggio nel deserto di una società frustrante, corrotta e fagocitata da favoritismi beceri che sembrano annebbiare le speranze e i sogni di chi ancora crede e si mette in sfida, come un giocoliere in biblico, alla ricerca di un baricentro solido. Navel, narrato in prima persona, analizza con amara ironia e profondo coraggio le delusioni e le speranze a cui va incontro. Un romanzo divertente, intelligente, drammatico e profondo. Sorprendente la scrittura che diventa ritmica e musicale, quasi a tratti risentisse di echi rap; armonica e danzante con ascendenze poetiche di una conoscenza sapiente e di letture maturate nel tempo. Gli argomenti si intrecciano e si incrociano come un ricamo, mai banali, mai scontati, mai prevedibili.
Navel di Maristella Bonomo è il «piccolo ombelico luminescente», il pianeta minuscolo e perfetto, la vocazione esistenziale, la valorizzazione del talento. Quello stesso (talento) che non deve essere saccheggiato dalla raccomandazione, dal favoritismo, dalla corruzione. Denunciare l’assenza di meritocrazia dilagante con l’ennesima prova di coraggio: la dimostrazione del talento stesso che, nel caso di Maristella Bonomo, è quella di aver scritto un libro. Bello.

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