Aslam: “Scrivere è il mio modo di sopportare il mondo”

Intervista all’anglopakistano Nadeem Aslam, autore di “Mappe per amanti smarriti” e “Il libro dell’acqua e di altri specchi”: «Solo alla fine della vita saprò se a prevalere sarà l’orrore o la bellezza. Sto scrivendo il sesto romanzo e, se sarò in buona salute, vorrei scriverne altri tredici. È fondamentale combattere l’odio. Il suo opposto non è l’amore ma pensare»

Nadeem Aslam, nato e cresciuto in Pakistan, prima di stabilirsi nel Regno Unito, è conosciuto in Italia da una quindicina d’anni, a partire dalla pubblicazione, per Feltrinelli, del suo romanzo Mappe per amanti smarriti (tradotto da Delfina Vezzoli). Aslam (nella foto con Paola Zoppi, ndr) Confessa di «scrivere storie per rendere le persone coscienti». E, nel corso di questo dialogo, svela di sé e della propria opera.

Aslam, nel suo ultimo romanzo, Il libro dell’acqua e di altri specchi, tradotto da Norman Gobetti e pubblicato da Add, la storia di Nargis e Massud si intreccia a parole come perdita, blasfemia, ma anche amore e poesia. Peter Parker di The Spectator ha sottolineato come, nei suoi libri, «orrore e bellezza vivono in un equilibrio precario». È come se nei suoi romanzi, mettesse il lettore di fronte agli orrori del mondo, ma al tempo stesso richiamasse la sua attenzione su ciò per cui vale la pena vivere, nonostante tutto. È così?

«Quello che io tento di fare, quello che voglio fare nei miei romanzi è cercare di spiegare che per affermare la parte bella della vita come lo sono l’amore, l’amicizia, un buon pasto, degli alberi in fiore è necessario metterli in relazione alla parte tragica della vita e quindi un albero di ciliegio diventa un esempio della ragione per cui vale la pena vivere nonostante l’orrore della vita. Tuttavia la domanda resta: l’orrore della vita è tale da cancellare la bellezza o la bellezza è così forte da cancellare l’orrore della vita? Non so quale sarà la risposta, lo saprò alla fine della mia vita».

Ho letto che suo padre è stato un poeta in Pakistan e che lei inserisce nei suoi romanzi, un personaggio che richiama la figura di suo padre quasi a rendergli “giustizia”. In che senso?

«Mio padre era un poeta da giovane, in Pakistan, e come accade in Pakistan ha fatto tutti i passaggi tipici: si è sposato, ha fatto noi figli e a quel punto la sua responsabilità era nutrirci, occuparsi di noi. Per questo non ha mai potuto seguire veramente i suoi sogni. Credo sia rimasta una ferita per mio padre. Quello che faccio nei miei libri è permettere a mio padre di realizzare quello che non è riuscito a realizzare nella vita a causa mia. Il fatto che mio padre abbia rinunciato a questa sua passione è una cosa onorevole. Il mondo mente su di noi, ci dice che siamo persone orribili, invece non è vero, siamo persone molto onorevoli e molti di noi, ogni giorno, sacrificano la propria felicità per qualcun altro».

Ha definito “piccoli undici settembre” quei fatti di cronaca che ci raccontano di atti terroristici, ma anche di singole violenze che possono accadere anche fra le mura di casa, secondo lei avremmo potuto fare di più, possiamo fare di più perché episodi di questo genere accadano sempre di meno? Penso agli atti terroristici, quelli di fanatismo, la violenza sulle donne…

«La cosa fondamentale è rendere coscienti la persone dei loro diritti e in Inghilterra le cose sono diverse. Sentono la forza di fare discorsi ragionevoli, non funzionerebbe rimandare le ragazze nel loro paese, le ragazze di diciotto anni oggi sono diverse dalle loro coetanee di trent’anni fa. Oggi si sentono in pieno diritto di dire ai genitori che preferirebbero sposare il leader dei One Direction che tornare là. Cosa possiamo fare? Scrivere storie per rendere le persone coscienti. Ho scritto cinque romanzi e sto lavorando al sesto e nei prossimi anni, se rimarrò in salute, voglio scrivere altri tredici romanzi. E ho tredici scatole dentro le quali metto tutto ciò che mi servirà per scrivere quei romanzi. Ho già il titolo, la trama e i nomi dei personaggi. Io non ho immaginazione perchè il mondo è talmente ricco che tutti gli altri tredici romanzi arriveranno tutti dalla vita reale. Scrivere è il mio modo di sopportare il mondo, la vita, prendo i racconti delle persone, le news dai giornali e li metto nella rispettiva scatola ed è una cosa che mi calma, è come se avessi davanti una strada fatta di tappe. Il giorno in cui finisco di scrivere un libro, inizio subito quello successivo, non succede che non sappia cosa scrivere. Ad esempio, nel libro viene distrutto un altro libro che i personaggi ricuciono con il filo d’oro, non me lo sono inventato. Come mi sarebbe potuto venire in mente? Figuriamoci. Alla British Library c’è questa lettera ricucita cui mi sono ispirato scritta da Emily Bronte, che si era innamorata di un uomo sposato al quale scriveva delle lettere. Lui non le rispondeva mai anzi le stracciava, poi è accaduto che la moglie di questo uomo le abbia trovate nel cestino e per qualche ragione le abbia ricucite. Ce n’è una in particolare che è custodita nella biblioteca».

Un’altra autrice pakistana che amo molto, Kamila Shamsie, ha scritto Kartography, un romanzo in cui la città di Karachi viene letta non attraverso il nome delle vie ufficiali, ma attraverso una mappa personalissima in cui i luoghi sono legati a dei ricordi. Lei ha scritto Mappe per amanti smarriti, possiede lei stesso una mappa di questo tipo?

«Tutti hanno la loro mappa, sono una persona come le altre, tutto quello che è vero di te è vero di me. Da anni vivo in Inghilterra, mi sono trasferito che avevo 14 anni, è lì che c’è stato il primo bacio, ho fatto l’amore per la prima volta, ho avuto il mio primo lavoro, che mi piaccia o no, la mia mappa deve includere anche l’Inghilterra. Disegno e dipingo molto e nel mio studio c’è questa mappa: ho ritagliato la sagoma del Pakistan e quella del Regno Unito li ho messi vicini e così ci si può spostare da un paese all’altro. Non combaciando in mezzo a loro c’è un lago, di cui non conosco il nome, ma in realtà si chiama Nadeem».

Infine, c’è un fatto realmente accaduto che ha innescato la stesura di Libro d’acqua e di altri specchi?

«Molte delle cose del libro sono reali, ci sono news reali che trovi nel libro, in particolare le accuse di blasfemia che è un po’ il mio perno narrativo. Molte persone vengono accusate di blasfemia e incarcerate, una donna falsamente accusata di blasfemia, di recente, è stata rilasciata (la storia di Asia Bibi, ndr) e ha trovato rifugio in Canada. Non è un fatto comune ma sono fatti che accadono ed è fondamentale combattere l’odio. L’opposto dell’odio non è l’amore ma pensare».

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