Ernaux, l’aborto come esperienza umana totale

Annie Ernaux anche ne “L’evento” sceglie l’estremo opposto dell’oblio, raccontando una vicenda intima per fornire a chi legge uno strumento di indagine sociale e un’emozione di scrittura

«Forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura». Con L’evento (113 pagine, 15 euro), pubblicato dalla casa editrice L’orma nella traduzione di Lorenzo Flabbi, la scrittrice Annie Ernaux si conferma una delle voci più autorevoli del panorama culturale contemporaneo. Ancora una volta, sceglie di raccontare una vicenda, intima e privata, della propria esistenza per fornire a chi legge uno strumento di indagine sociale. Francia, ottobre 1963: una studentessa ventitreenne è costretta a percorrere vie clandestine per poter interrompere una gravidanza (l’aborto è ancora illegale); a distanza di anni, decide di disseppellire l’evento, di togliere dall’oblio e riportare alla memoria un’esperienza umana dolorosa e totalizzante.

Testimonianza per generazioni di donne

Ciò che viene fuori è una vera e propria testimonianza per generazioni di donne che pone l’accento sulle trasformazioni che subisce non solo il corpo, ma soprattutto la mente di chi decide di interrompere una gravidanza. È come svegliarsi e ritrovarsi nel corpo di un’altra donna, in un’altra vita, in un altro tempo, lontanissimo e indefinito. Ernaux apostrofa ciò che ha vissuto con la parola “evento” e tutto ruota attorno al suo racconto, come se fosse più agevole ragionare su un caso particolare che dare spiegazioni che pretendono di avere valore generale. L’abilità della scrittrice francese, però, sta proprio nell’esatto contrario: la propria esperienza in materia di aborto diventa l’esperienza di tante donne che, al contrario di lei, si sono abbandonate alla calma mortale dell’oblio che fa seguito alle emozioni prodotte da una rapida successioni di eventi, marchiando a fuoco l’anima. Ogni evento della vita che ci segna fortemente può scivolare nell’oblio o essere portato al suo estremo opposto ed è quest’ultima strada che sceglie di percorrere la nostra autrice.

Il diritto inalienabile di scrivere

Se la dimenticanza di un evento è sinonimo di libertà, lo è anche il «diritto inalienabile di scriverla». Non importa se il racconto di un aborto possa provocare irritazione o repulsione, perché averlo vissuto, scrive Ernaux, le impone di andare fino in fondo nel raccontare questa esperienza per impedire che la realtà delle donne continui a essere oscurata. La sua scrittura è una vera e propria presa di posizione contro la dominazione maschile del mondo. Ecco, allora, che il racconto di un fatto intimo e personale assume una dimensione più ampia e abbraccia quasi universalmente la condizione di intere generazioni di donne che hanno lottato e continuano a farlo per la conquista di diritti. Enaux va oltre: accomuna, paragona, affianca la paura di chi abortisce a quella di chi provoca gli aborti, alle cosiddette «fabbricanti d’angeli».

Pregiudizi e difficoltà

Ripercorrere il dolore, attraversarlo da parte a parte e rievocare le immagini e le sensazioni vissute anni prima vuol dire restituire al lettore un’«emozione di scrittura» e tutto questo gran parlare di emozioni nasconde un cambiamento epocale che parte dal corpo e dalla mente di una donna che ha affrontato un aborto e abbraccia tutte le donne. Non ha certo paura di raccontare i pregiudizi di quei tempi, le difficoltà legate alla decisione di interrompere clandestinamente una gravidanza, il tema dell’appartenenza alla borghesia (in cui, forse, è perdonabile un aborto) o alla classe operaia.

Sintesi tra vita e morte

La parte più toccante e commovente della narrazione autobiografica riguarda il racconto dettagliato del momento in cui la protagonista espelle il feto ormai morto. Nel dimostrare il grande coraggio di affidare al linguaggio, forse a tratti rude e forte, l’evento, Enaux sceglie parole che creano una sintesi perfetta tra due concetti antitetici, la vita e la morte. «Avevo partorito allo stesso tempo una vita e una morte», scrive, e in tale espressione è racchiusa tutta la violenza che subiscono il corpo e l’anima di chi ha abortito clandestinamente. Ha finito per mettere in parole un’esperienza umana totale, «della morte, del tempo, della morale e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo».

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