Sirignano: “Il mal di Siria e la mia conversione all’Islam”

Rosanna Maryam Sirignano, esperta di studi islamici e autrice de “La mia Siria – l’umanità che resiste”, volume colmo di testimonianze e umanità oltre qualsiasi pregiudizio, racconta la sua esperienza in Medioriente, il rapporto fra donne, Islam e femminisimo, la fede musulmana: “Il velo un atto di emancipazione femminile? Non per me, è stata più una vocazione ed è strettamente connesso alla mia pratica spirituale”

Un libro corale, un libro plurale. La mia Siria – l’umanità che resiste” (142 pagine, 14 euro) di Rosanna Sirignano – Villaggio maori editore – raccoglie le testimonianze di siriani e italiani che in Siria hanno vissuto, prima, dopo e durante la guerra del 2013.  Ma è sopratutto un libro che parla di ricordi, sentimenti, di come l’umanità di un luogo possa scuotere a tal punto da decidere di ricominciare, a partire da se stessi. È proprio in Siria infatti che Rosanna diventa Maryam, nel 2010, con la sua conversione all’Islam. Una scelta che, come dice la stessa autrice nell’intervista ha «cambiato la mia prospettiva sul mondo, il mio rapporto con me stessa e con gli altri. (…) una strada sulla quale camminare per la mia crescita personale, condivisa, nei limiti del possibile, anche con gli altri». Decidere di portare il velo, scegliere liberamente a quale religione credere e appartenere può essere ritenuto un atto femminista: «un’azione interiore di profonda consapevolezza e trasformazione. – come dice la stessa Sirignano -. Questa in alcuni casi può intrecciarsi con la scelta di indossare il velo, che alcune donne usano come simbolo di affermazione di sé e del loro diritto di praticare la religione liberamente nello spazio pubblico. Per me non è così(…)».

Raccontare la Siria attraverso se stessi e le voci di coloro che a quella via di Damasco sono fortemente legati. Le testimonianze di donne e uomini riempiono le pagine di questo libro autentico, colmo di umanità che brilla nonostante il dolore terribile della guerra. Rosanna Maryam Sirignano scrittrice avellinese, brillante, caparbia, esperta di studi islamici, ha conseguito un dottorato all’università di Heidelberg dopo aver studiato all’Orientale di Napoli, in Tunisia, Palestina e Siria, la sua casa spirituale. Noi di LuciaLibri l’abbiamo intervistata.

Come nasce la passione per lo studio dell’Islam e la lingua araba?

«Dal desiderio di scoperta di una delle culture dall’altra sponda del Mediterraneo».

La Sira è stato il tuo spartiacque di vita. possiamo chiamarlo un punto di non ritorno: c’è una Rosanna prima della Siria e dopo la Siria. Possiamo parlare di cambiamento o scoperta?

«Entrambi. Il cambiamento è la diretta conseguenza delle scoperta di nuove vie per realizzare se stessi».

La mia Siria nasce prima come blog, poi come libro, una raccolta di voci e testimonianze di gente che hai incontrato e intervistato. Mi racconti come è avvenuto questo passaggio?

«Ho aperto il blog nel 2013, un anno molto duro per la Siria. In quel periodo abbiamo infatti avuto la certezza che la guerra sarebbe durata a lungo e sarebbe stata più devastante del previsto. Le immagini che provenivano dalla Siria dipingevano sangue, morti, torture, distruzione. Io desideravo restituire almeno al pubblico italiano un’altra storia, per non dimenticare anche la bellezza della Siria. Inizialmente raccoglievo i miei ricordi un po’ idealizzati, poi anche altre persone hanno scritto i loro contributi. Nel 2016 ho aperto una pagina Facebook collegata al blog. La pagine aveva meno di 300 like, eppure l’attenta redattrice Natasha Puglisi di Villaggio Maori Edizioni la scoprì e mi contattò per propormi la scrittura del libro».

Perché la Siria?

«Ho scelto di viaggiare in Siria perché avevo ascoltato racconti molto belli su questo paese, perché c’era a Damasco una scuola di arabo molto valida e perché avevo interesse ad approfondire la varietà dialettale di quell’area, per la ricerca che stavo svolgendo in quel periodo».

Chi sono le voci che animano il tuo libro?

«Persone siriane che ho conosciuto durante il mio viaggio e che ho poi ritrovato in Europa. Persone siriane conosciute in Italia e in Germania successivamente. E infine persone italiane legate alla Siria per ragioni di studio, attivismo politico, relazioni sentimentali».

Storie autentiche di vita trascorsa in questo luogo, che a leggere il tuo libro sembra creare un’empatia con chi ne viene a contatto. C’è una grande nostalgia in questi racconti; una nostalgia felice ma anche dolorosa. Esiste il mal di Siria?

«Sì, esiste, e secondo me la parola migliore per descriverlo è Sehnsucht, una parola tedesca che indica la nostalgia in senso di struggimento per l’oggetto desiderato che non si può avere».

Quali sono i ricordi più belli di questo viaggio?

«Quelli legati sguardi delle persone, l’accoglienza, l’affetto, la conoscenza che permeava ogni luogo. Lì i maestri e le maestre si incontravano ovunque».

Hai mai pensato di tornare in Siria?

«Certo, ci penso spesso e so che forse non sarà possibile. Mi piacerebbe tornare per comprendere meglio la mia esperienza alla luce di chi sono oggi, ma so che non troverei lo stesso Paese che ha conquistato il mio cuore quasi 10 anni fa».

Da dieci anni hai accolto nella tua vita il credo islamico, il velo, un nome nuovo, Maryam. Cosa è cambiato dal giorno in cui hai fatto questo passo?

«È cambiata la mia prospettiva sul mondo, il mio rapporto con me stessa e con gli altri. Ho acquisito una maggiore serenità e pazienza, ho trovato strumenti per sciogliere nodi esistenziali e relazionali. Ho trovato una strada sulla quale camminare per la mia crescita personale, condivisa, nei limiti del possibile, anche con gli altri».

Nei tuoi interventi pubblici parli spesso di culture, utilizzando il plurale, e di processi di mescolanza tra uomini e ideologie dai confini fluidi. Cosa significa vivere da musulmana in Italia?

«Vivere da musulmana in Italia significa dover dare spesso tante spiegazioni sulle proprie scelte. Vivere da musulmana, con un lungo percorso di studi islamici alle spalle significa assumere la piena responsabilità della trasmissione e diffusione della conoscenza al fine di promuovere un dialogo pacifico, per contribuire alla costruzione di una società più coesa e armoniosa».

Nel tuo ultimo intervento video sulla pagina Facebook “Musulmani in Italia” hai parlato de “La Donna nell’Islam”.  Dopo aver seguito il tuo intervento mi sono chiesta il perché non si senta la necessità di parlare anche della Donna nel Cristianesimo. La domanda la rivolgo a te.

«Nel mio intervento ho parlato di Donne e Islam, perché non esiste il prototipo di donna, in quanto siamo esseri umani molto diversi gli uni dagli altri e trovo problematica l’espressione “nell’Islam”, perché l’Islam non è un contenitore dai confini definiti e fissi. Si potrebbe dire “in contesto islamico”, ma allora qui ci riferiamo a paesi dove l’Islam è la maggioranza, ad esempio, e quindi non all’Italia, che il contesto di riferimento del discorso a cui ti riferisci. Per quanto riguarda le donne e il Cristianesimo, sono numerose le iniziative sul tema, anche in contesti di dialogo interreligioso. Sicuramente c’è una differenza nella diffusione e nelle motivazioni di iniziative su donne e Islam e donne e Cristianesimo, perché parliamo di due sistemi religiosi diversi, che a livello sociale in Italia hanno due posizioni molto diverse: la prima è la religione della maggioranza, la seconda quella della minoranza, spesso discriminata e raccontata dai media in modo confuso e distorto».

Dopo il ritorno di Silvia Romano in Italia, argomento sul quale sei intervenuta in un’intervista ci si è focalizzati, anche con molte polemiche, più che sulla sua liberazione, sulla scelta di essere musulmana. La scelta di cambiare religione, perché fa tanto discutere?

«A me sembra che in Italia ci sia sempre il pretesto per discutere, o meglio per simulare discussioni sensate, che in realtà sono solo beceri pettegolezzi confezionati come riflessioni e notizie».

Sarebbe stato lo stesso, secondo te, se a farlo fosse stato un uomo?

«Non saprei, ma sicuramente il fattore genere in un paese ancora permeato da una cultura maschilista ha giocato un fattore importante».

Come hai vissuto da parte dei tuoi concittadini, amici o parenti la scelta della conversione?

«Le reazioni sono state molto variegate da chi mi ha accolto senza problemi a chi a smesso di rivolgermi la parola».

Portare il velo può essere considerato un atto di emancipazione femminile?

«L’emancipazione femminile è un’azione interiore di profonda consapevolezza e trasformazione. Questa in alcuni casi può intrecciarsi con la scelta di indossare il velo, che alcune donne usano come simbolo di affermazione di sé e del loro diritto di praticare la religione liberamente nello spazio pubblico. Per me non è così. Il velo per me è stata più una vocazione e oggi più che mai è strettamente connesso alla mia pratica spirituale».

Perché, secondo te, anche le femministe fanno fatica ad accettarlo come tale?

«Alle femministe spesso manca lo studio e l’approfondimento della storia del femminismo a livello globale. Basterebbe addentrarsi nelle teorie post-coloniali femministe, avvicinarsi a concetti come quello tanto divulgato dell’intersezionalità, coniato da Kimberlè Crenshaw per aprirsi a diversi modi di declinare il femminismo».

Mi chiedo anche: questa libertà di scelta, questa libertà della donna di poter vivere apertamente la propria fede e scegliere di convertirsi viene concesso anche nell’Islam dei paesi arabi, o è più semplice vivere l’Islam, da donna, in Italia?

«È una domanda complessa che meriterebbe un approfondimento che non possiamo dare in questa sede. Preferisco non rispondere».

Tornando al tuo lavoro di scrittrice: quali sono i tuoi progetti editoriali futuri?

«Al momento sto lavorando alla pubblicazione della mia tesi di dottorato dedicata all’opera dell’antropologa svedese-finlandese Hilma Granqvist (1890-1972), una delle poche studiose ad aver effettuato ricerca di campo in Medio Oriente negli anni ’30. Sto lavorando anche a progetti più divulgativi di cui rivelerò qualcosa spero entro la fine dell’anno».

Quale sarà il tuo prossimo viaggio?

«Al momento non ho nulla in programma. Io non viaggio spesso come si potrebbe pensare ma solo in risposta ad una reale urgenza».

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