Terranova e quel dolore senza sponde sicure

In “Addio fantasmi” di Nadia Terranova la protagonista, Ida, è una guerriera in difesa, che si difende dai ricordi dall’assenza che da tredici anni tiranneggia la sua vita, il padre scomparso, e dovrà farlo con le armi della dissimulazione. La strada per una riappacificazione e una salvezza? Scoprire anche sofferenze diverse dalle sue

La telefonata della madre per una questione manutentiva – la riparazione del tetto della casa d’origine – richiama a Messina la protagonista di Addio Fantasmi (208 pagine, 17 euro) per Einaudi Stile libero, scrittrice per la radio di «finte storie vere». Sposata con Pietro, porto sicuro e argine alle sue fragilità, Ida vive la sua storia d’amore con la consapevolezza di saperla giunta al capolinea, caratterizzata com’è da un affetto reciproco a cui da tempo non fa più da contraltare il desiderio.

Il vaso di Pandora del dolore

La donna è quindi, in un certo senso, sola a dover affrontare i fantasmi che aveva rimossi dalla sua memoria «con accurata violenza» e suo malgrado esposta, cioè posta fuori dal suo fortino costruito con tanta cura da anni: la donna sa già che il viaggio non sarà leggero, che rischierà di scoperchiare il vaso di Pandora del dolore, delle privazioni affettive, della volontà di allontanamento dalla sua città e da tutto quello che la imbriglia, vaso tenuto a lungo chiuso con grande dispendio di energie emotive. Ida presente che dovrà ingaggiare l’ennesima battaglia per domare i fantasmi che la abitano da vent’anni, da quando il padre, stimato professore di greco e latino, caduto in depressione, una mattina come le altre esce di casa per non farvi più ritorno; comprende che dovrà ancora essere una “guerriera”, come suggerisce il significato del suo nome, ma una guerriera in difesa: dovrà difendersi, ancora una volta, dal suo passato, dai ricordi dall’assenza che da tredici anni tiranneggia la sua vita e dovrà farlo con le armi della dissimulazione. In questo senso, il significato del nome diventa forse addirittura enantiosemico: Ida fugge a Roma, Ida fugge dalla sua vita schermandosi con le storie che inventa per la radio, Ida dissimula un amore che forse si è trasformato in altro: «negare ciò che si è stati, tramutarsi in qualcosa di differente e poi dimenticare di averlo desiderato – non c’era altro modo per diventare adulti, e se c’era non lo conoscevo».

Il padre, il nodo irrisolto

La figura del padre costituisce nel romanzo il nodo irrisolto della protagonista. Gaetano Lalomia, scomparendo dalla vita di madre e figlia, imprime al suo gesto una violenza ancora più crudele sulle due donne: egli non dà loro un corpo, un elemento tangibile, tragicamente vero, presente, della sua fine, non lascia loro elaborare il lutto e quindi le incatena nell’indefinitezza, in un tempo sospeso come la pendola senza ingranaggi in fondo al corridoio della loro casa, tempo sospeso che si traduce nel discorso su due piani delle due donne, quello interno, inespresso e muto, dell’«apocalisse», quello esterno, apparentemente sereno, pacato e tranquillo, che dissimula il dolore: «la nostra cordialità presidiava la ferita come un cecchino». In questo discorso, la mancanza del padre è quindi per Ida «la mancanza di un punto, di un qualsiasi segno di interpunzione alla fine delle parole» ed è anche la ragione per cui le parole fra le due donne sono da sempre oblique, quasi autistiche, rese asfittiche dalla coltre polverosa del non detto: quest’ultimo passa attraverso i silenzi o le brevi comunicazioni del banale quotidiano, ma è però rivelatore di un qualcosa di più profondo e angoscioso e che perciò è necessario reprimere.

Ida come Telemaco

Con la sua sparizione Gaetano Lalomia si fa tiranno, come lo era il padre della protagonista del primo romanzo della Terranova (qui una nostra videointervista), Gli anni al contrario: Aurora sottostava alla tirannide del padre presente, Ida a quella del padre assente. In Addio fantasmi il padre carica sulle spalle della figlia la responsabilità dell’assenza: «era con me che non aveva voluto vivere» e questo peso schiacciante non è la sola conseguenza. Per usare un concetto contenuto nel saggio Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati, il padre «non rinuncia al potere di detenere l’ultima parola». Caduto in depressione, figlio della propria figlia costretta ad accudirlo, sostituendosi in tutto alla madre che trascorre sempre più tempo fuori di casa nel tentativo di fuggire da una realtà ormai ammuffita, Gaetano Lalomia si sottrae alla “legge dell’Altro”, e non permette a Ida di sperimentare il limite. Ida viene sacrificata dal padre sull’altare della propria malattia. Ecco che per la protagonista il dolore non ha più sponde sicure perché il padre si fa egli stesso Legge, non si sottopone al limite e di conseguenza non può donarlo alla figlia, privandola anche del dono del desiderio, come prospettiva verso la vita. Ida allora, è come Telemaco: continua a guardare il suo mare, il braccio dello Stretto di Messina, nella speranza che il corpo del padre si materializzi e venga a liberarla dalla prigione in cui l’ha rinchiusa. Ma il corpo non c’è, e nonostante ciò il padre è pervasivamente presente attraverso l’acqua.

La connotazione liquida

Il romanzo di Nadia Terranova ha in effetti una forte connotazione liquida: dal mare di Messina agli occhi umidi del padre, ai sogni di annegamento, tale elemento è onnipresente. La sua carica fantasmatica fa sì che Ida senta attraverso l’acqua la presenza del padre persino nel gocciolio dei radiatori delle stanze quando, tredicenne, avvertiva la sua stanza come la più fredda della casa, quella in cui le vecchie e rumorosamente inquietanti tubature incrinate faticavano a riscaldarla. Ecco allora che la stanza si trasforma in una sorta di metafora di Ida, corpo freddo non riscaldato dall’amore del padre. E se la stanza è Ida, la scatola rossa nascosta nel posto più remoto, ne è il cuore, ciò che Ida ha di più caro, i ricordi. A voler riprendere un’immagine di Bachelard, l’acqua costituisce per Ida «un tipo di destino che trasforma incessantemente la sostanza dell’essere». Se infatti l’acqua – il mare nello specifico – si fa lavacro per il giovane corpo oltraggiato della protagonista in un traumatico episodio dell’adolescenza, essa costituisce anche la consapevolezza della necessità di essere attraversata per sfuggire al dolore: «mentre dal finestrino cercavo lo stesso mare della mia infanzia. Io, se volevo vivere, quel mare dovevo attraversarlo e non fermarmi».

I conti col dolore altrui

Il gesto finale del romanzo, definitivo, è insieme liberatorio e riappacificativo con l’elemento acquatico, così come avviene in molti miti, territorio tanto caro alla scrittrice. Tuttavia, tale riappacificazione non può avvenire senza prima aver fatto i conti con il dolore degli altri: tutta intenta a costruire una fortezza solipsistica attorno al suo dolore, Ida non è capace di vedere quanti intorno a lei sono «sopravvissuti alla loro battaglia». La storia dell’amica d’infanzia e del giovane Nikos le portano un dolore diverso dal suo, al quale non è abituata, e che si presenta prepotente a darle la chiave che le permetterà di dire addio ai suoi fantasmi. Nessuno si salva da solo.

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