Labatut e quella finestra che si apre verso l’infinito

“Quando abbiamo smesso di capire il mondo” di Benjamin Labatut ha, al di là del titolo evocativo, una prosa asciutta, diretta, senza fronzoli. Con cui lo scrittore cileno romanza porzioni di vita di alcune delle menti più straordinarie degli ultimi secoli, che hanno segnato svolte epocali, nel bene e nel male. Il fil rouge conduce alla meccanica quantistica, che bypassa i nostri limiti sensoriali, descrive ciò che non vediamo…

La prima cosa che seduce del libro di Benjamin Labatut è il titolo: Quando abbiamo smesso di capire il mondo (180 pagine, 18 euro). Estremamente evocativo. Un’esca perfetta per i curiosi. Si tratta di un’affermazione che ha la forza di tradursi immediatamente in una domanda. «Già, quando abbiamo smesso di capire il mondo?», viene da chiedersi. Perché sul fatto che abbiamo smesso di capirlo, non ci sono molti dubbi. Chi ha vissuto prima dell’era dei social, senza la necessità di avere sempre e comunque uno smartphone a portata di mano, non può che rimanere impigliato nella rete lanciata da Labatut. A quel punto non resta che prendere il libro, dirigersi verso la cassa e tirare fuori il bancomat per pagare, mentre il tarlo che si è appena installato nella parte più sensibile della nostra mente, avrà già iniziato a scavare: «Quando diamine abbiamo smesso di capire il mondo? Quando e perché?».

Quesito e dramma esistenziale

La metamorfosi sintattica avviene solo nel nostro cervello, perché lì, sulla copertina del libro pubblicato da Adelphi (traduzione di Lisa Topi), non vi è alcun punto interrogativo. C’è un’affermazione netta che però contiene in sé la promessa di una risposta esaustiva. Il quesito lambisce il dramma esistenziale, soprattutto per coloro che da ragazzini giocavano sui marciapiedi con le biglie colorate e oggi sono alle prese con l’imminenza di un disastro ambientale, la bolla finanziaria che rischia di mandarci sul lastrico, i cibi precotti, alterati e dannosi, la democrazia mediata (e minacciata) dal web e il Covid, da taluni considerato addirittura un castigo mandatoci giù dal Cielo attraverso una fottuta colonia di pipistrelli Made in China. Quindi, caro Benjamin Labatut, dicci un po’: quando diamine abbiamo smesso di capire il mondo? Quando è successo? E quando si è interrotto quel feeling che legava i nostri padri ancestrali alla Madre Terra?

Scienziati mitici, intuizioni e ossessioni

La prosa di Labatut non è meno affascinante del titolo: è asciutta, diretta, senza fronzoli. Al di là della complessità degli argomenti trattati, non si corre mai il rischio di sbadigliare. Il libro dell’autore cileno non è un saggio e neppure narrativa. Difficile classificarlo: rientra nella categoria «non fiction» che vuol dire tutto e niente. Di fatto Labatut ha romanzato porzioni di vita ed episodi realmente accaduti che riguardano alcune delle menti più straordinarie degli ultimi secoli. Scienziati che con i loro lampi di genio hanno cambiato concretamente il mondo, nel bene e nel male. Labatut ha reso umani personaggi che rasentano il mito, narrando i loro dubbi e le loro debolezze, denudando il loro talento che, come per ogni essere dotato di genio, pretende un costo personale altissimo. Da Alan Turing a Fritz Haber, passando per Alexander Grothendieck, Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger, Karl Schwarzschild e altri ancora. Un viaggio appassionante fatto di intuizioni e ossessioni. Alcuni di questi uomini si sono messi a disposizione della politica, come Fritz Haber che venne definito dai giornalisti dell’epoca «l’uomo che fece il pane dall’aria» per aver inventato i fertilizzanti azotati moderni. Ma Haber diede anche alla Germania la prima arma di distruzione di massa, il gas cloro. Altri, invece, hanno trovato la forza, o forse bisognerebbe dire il coraggio, di rinunciare alle loro scoperte, le hanno seppellite e sono spariti dalla circolazione (o quanto meno ci hanno provato). È il caso di Shinichi Mochizuki che nel 2012 pubblicò una teoria dei numeri la cui dimostrazione finora nessuno è stato in grado di comprendere. È matematica di un livello mai raggiunto, che indaga l’infinito, che a qualcuno sembra «aliena», per altri è giunta direttamente dal futuro. Talmente ardua (e potenzialmente pericolosa) da indurre il ricercatore giapponese ad eliminare i quattro articoli attraverso i quali l’aveva resa pubblica sul proprio blog.

Paradossi e contraddizioni

Le storie seguono un fil rouge che conduce dritti dritti alla meccanica quantistica, la branca della fisica più sfuggente ed evoluta, quella apparentemente più assurda eppure supportata tenacemente dai calcoli. Quella le cui conclusioni sembrano così paradossali da lasciare sgomenti persino gli stessi autori: basti pensare al gatto di Schrödinger o ai buchi neri, la cui scoperta (piuttosto recente in campo astronomico) ha confermato intuizioni teoriche precedenti che sembravano follia pura, nonostante il conforto dei numeri. Assieme alla teoria della relatività di Albert Einstein, la meccanica quantistica viene considerata lo spartiacque tra la fisica classica – quella di Isaac Newton per intenderci, capace di spiegare il mondo così come lo conosciamo – e la fisica moderna che invece va ben oltre le nostre percezioni empiriche. La meccanica quantistica bypassa i nostri limiti sensoriali, descrive ciò che non vediamo. Eppure «sta alla base di internet, dei telefonini che dominano la nostra vita, e offre la promessa di un potere digitale paragonabile solo all’intelligenza divina. Ha trasformato il mondo fino a renderlo irriconoscibile, sappiamo come usarla, funziona per una sorte di miracolo, e tuttavia su questo pianeta non c’è una sola anima, viva o morta, che la capisca veramente. La mente non è in grado di districare i suoi paradossi e le sue contraddizioni».

L’uomo non sa gestire il potere

Ecco, quindi, quando abbiamo smesso di capire il mondo: quando ci siamo affacciati su quella finestra che si apre verso l’infinito, una finestra che pochissimi occhi sanno scorgere e che lascia intravedere in lontananza segreti ai limiti dell’inconfessabile. Quando qualcuno si è accorto (Heisenberg nello specifico) che bisognava smettere di capire il mondo come lo si era fatto fino a quel momento. Come biasimare Shinichi? Il genere umano ha già dimostrato di non saper gestire i grandi poteri che derivano dalla conoscenza più intima delle leggi che regolano l’universo, ha già adoperato le grandi scoperte scientifiche in modo miope e autolesionistico, diffondendo dolore, morte e distruzione. E adesso che l’Uomo Digitale ha tagliato i ponti con la Natura, mettendo a repentaglio la vita stessa del pianeta che ci ha generato e ci ospita, cosa ne potrebbe derivare?

Quel giardiniere ed ex matematico

Il capitolo conclusivo è il più intenso e poetico, oltre ad essere come una salsa avvolgente che esalta tutti gli ingredienti del piatto che Labatut ci presenta in una molteplicità di incredibili storie. L’autore si intrattiene in chiacchiere con un giardiniere che ama lavorare di notte e che ha un passato da matematico teorico. Il giardiniere notturno quando parla della matematica lo fa con un misto di brama e terrore, e racconta a Labatut di aver rinunciato alla magia dei numeri ancora prima di diventare qualcuno, precisamente quando si era imbattuto nel lavoro di Grothendieck, un genio capace di rivoluzionare la geometria come non succedeva dai tempi di Euclide, prima di mollare tutto (all’età di 40 anni) per darsi all’eremitaggio, lasciando dietro di sé un’eredità sconcertante. Anche il giardiniere notturno aveva rinunciato, perché, racconta a Labatut, «era la matematica – non le bombe atomiche, i computer, la guerra biologica o l’apocalisse climatica – che stava cambiando il nostro mondo, al punto che nel giro di vent’anni al massimo, non saremmo più stati capaci di capire cosa significa essere umani». Per questo si era dato alla terra e al giardinaggio.

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