Ümit, decifrare l’anima di Istanbul per fermare i delitti

Le tappe del passato di Istanbul sono la chiave per sciogliere l’enigma di vari omicidi che insanguinano la città turca e riguardano luoghi storici e monete antiche. Lo scrittore Ahmet Ümit in “Perché Istanbul ricordi”, dietro l’apparenza del noir, ragiona sull’importanza della memoria, tra ricordi collettivi e personali. Con cui fa i conti anche il commissario Nevzat Akman

L’importanza dei ricordi. Abbiamo mai riflettuto su quel meccanismo della mente che si rivolge al passato? Sulla possibilità di utilizzarlo per comprendere il presente e affrontare il futuro? Basterebbe partire dalla definizione contenuta nel dizionario: «impronta di una singola vicenda o esperienza o di un complesso di vicende ed esperienze del passato, conservata nella coscienza e rievocata alla mente dalla memoria, con più o meno intensa partecipazione affettiva» oppure «annotazione intesa a richiamare o conservare la memoria di un fatto». E sull’importanza di ricordare la Storia, abbiamo riflettuto abbastanza? Ecco le domande che mi sono posta dopo aver finito di leggere Perché Istanbul ricordi (615 pagine, 18 euro) dello scrittore turco Ahmet Ümit, pubblicato dalla casa editrice Ronzani e tradotto da Anna Valerio.

Sette delitti, altrettanti monumenti

Parte tutto da un misterioso delitto commesso nella bella e affascinante città di Istanbul: la vittima viene rivenuta nella parte vecchia della città, ai piedi della statua Atatürk, nella mano stringe una moneta antica e sembra indicare una posizione precisa. Da quel momento partono le complicate indagini per il commissario Nevzat Akman e i suoi giovani collaboratori che riguarderanno altre sei vittime, altrettanti luoghi storici della città e monete antiche. Per il lettore, invece, inizia un vero e proprio viaggio nella storia di Istanbul che parte dalla fondazione dell’antica Bisanzio da parte del re Bysaz fino alla nascita della Repubblica turca: ogni monumento, ogni luogo storico è legato ad una figura importante del passato, secondo un preciso piano criminale di chi compie quei misteriosi delitti. La chiave dell’enigma risiede proprio nel passato di Istanbul. Ümit, con il poderoso background politico e storico del suo paese d’origine, posa l’accento sulla necessità di ricordare la Storia e lo fa ponendosi nei confronti di essa con uno sguardo critico proprio perché ha lo scopo di sanare le ferite della memoria non solo collettiva, ma anche personale.

I dispiaceri del poliziotto (e le ferite della città)

I ricordi storici della città, infatti, si intrecciano, quasi indissolubilmente, con quelli personali del commissario Nevzet: alle ferite della città corrispondono quelle del protagonista, lacerato dal dolore di aver perso la moglie e la figlia in un drammatico incidente, in preda ai sensi di colpa per aver iniziato una nuova relazione e avvolto nella nostalgia e nella malinconia per l’adolescenza trascorsa con gli amici Yekta e Demir. Le indagine si svolgono con ritmo serrato (anche la narrazione assume un ritmo serrato); è una corsa contro il tempo perché la volontà degli investigatori di fermare gli omicidi dipende dalla capacità di attraversare la Storia, di decifrarla attraverso dolorosi ricordi e di esplorare l’anima di numerosi personaggi: uomini d’affari senza scrupoli, giornalisti asserviti, architetti e altri professionisti pronti a calpestare la memoria, la ricchezza e la cultura della città con l’unico scopo del becero profitto. Cosa deve ricordare Istanbul, allora? Che la Storia è anche Identità, intesa non come catalogazione scientifica ed eredità di elementi biologi che caratterizzano gli uomini, ma come attenzione del mutamento che appartiene alla storia stessa. E, forse, non esiste città al mondo che abbia subito gli stessi mutamenti di Istanbul: prima capitale dell’Impero Romano d’Oriente, poi centro dell’Impero Bizantino e, infine, capitale dell’Impero Ottomano. Una prodigiosa storia legata alla posizione strategica, tra il mar Mediterraneo e mar Nero, tra Asia e Europa.

Un complicato atto d’amore

Ümit è trasportato da un amore viscerale per la città, si evince in ogni pagina, in ogni singola parola «Vale la pena di vivere anche solo per amare un quartiere, diceva Yahya Kemal e ora lo capisco più che mai; nonostante tutta la sua bruttezza, l’affollamento e la sporcizia, anch’io, proprio come il grande poeta, pensavo a quanto fossi fortunato a essere nato a Istanbul, a vivere a Istanbul, e dalla profondità del mio cuore sentivo elevarsi un sentimento che somigliava all’orgoglio», sono parole del commissario Nevzet, ma anche del nostro autore. Non è come si vorrebbe, ma ciò non impedisce di vivere la storia d’amore. Istanbul è una città capace di uccidere ciò che di più bello ha.

Guardavamo Istanbul dal mare. La nostra Istanbul, la città dei sogni infranti, la capitale dei ricordi profanati depredata della sua felicità, la fortezza delle speranze spezzate, la regina della sofferenza, la bellezza devastata dalla tirannia, l’eleganza insidiata dall’astuzia, la prosperità devastata dalla cupidigia”, si percepisce tutta la malinconia e la nostalgia per una città che rischia di dimenticare i nomi antichi dei quartieri, allontanandosi dal suo passato. “Le città sono come le persone, se si dimenticano del passato, se prendono le distanze dalla storia, si allontanano anche dalla loro identità e così non rimarrebbe nessuna peculiarità. Le persone sarebbe tutte simili le une alle altre, ordinarie. Istanbul, però, non è una città ordinaria.

Il commissario integerrimo e debole

Ümit scava nella psicologia dei suoi personaggi con profondità, nella sacralità dell’amicizia e dell’amore. Nevzet porta sulle spalle un peso e un dolore enormi: dietro l’integerrimo uomo di legge che svolge ottimamente il suo lavoro si cela un essere con le sue fragilità che deve fare i conti con le proprie debolezze. Un aspetto umano che si evince anche nei tratti psicologici dei due amici Yekta e Demir che nel romanzo assumono un ruolo non di certo marginale o dello stretto collaboratore Ali, “testa calda” con carattere fumantino.

Perché Istanbul ricordi non è un semplice noir per il fatto che la narrazione di genere ha intermezzi sia storici che psicologici. Il tutto è condito da uno stile fluido, descrittivo, caratterizzato da frasi brevi e sintassi semplice che rendono la lettura scorrevole, nonostante le seicento pagine, ma senza mai scadere nella monotonia.

Non resta che scoprire la verità sconvolgente che travolgerà il commissario, ma soprattutto i lettori.

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