I “sette libri per l’inverno” di… Martina Testa

Un paio di classici immortali, quattro recenti libri di autori italiani e un’autocitazione (per via di un immenso romanzo…). La traduttrice ed editor Martina Testa suggerisce sette titoli (qui tutta la serie dei consigli d’autore) da leggere, rileggere, difffondere

“Terrapiena” di Carola Susani (minimum fax)

Un romanzo uscito nella primavera della pandemia, e di cui si è parlato poco. Ma forse se ne sarebbe parlato poco comunque, perché Carola Susani non è una scrittrice dello Zeitgeist, è una scrittrice che crea un mondo e un tempo sfalsati rispetto al nostro, delle strane comunità marginali dove si mescolano l’incanto e la puzza; io la trovo una scrittrice profondamente cristiana e forse anche per questo di lei si parla poco, negli ambienti letterari predomina il laicismo. Ma sarà che certe forme di laicismo negli ultimi mesi mi sono sembrate terribilmente asfittiche, fatto sta che da questo romanzo (secondo di una trilogia, non ho letto il primo) mi sono fatta trasportare.

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“Contro l’automobile” di Andrea Coccia (Eris Edizioni)

A voi capita spesso di leggere qualcosa che vi fa cambiare idea? Un sacco di cose che leggo confortano le idee che già ho e mi fanno dire, vedi, ecco, la pensiamo uguale, non sono sola, non sono matta, non mi stavo sbagliando. E ci sta. Invece questo libro, breve, appassionato, infervorato mi viene da dire, mi ha proprio fatto fare un cambio di prospettiva: stavo sbagliando, serve un altro frame. E lo dice una che ha passato l’infanzia a leggere Quattroruote e disegnare modellini di automobili, e per cui l’emancipazione ha avuto il volto di una Fiat Punto.

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“Tutti romani, tutti romanisti” di Andrea Cardoni (Marcos y Marcos)

Mi piace quando nei libri si sentono le voci. A volte leggo un libro intero senza sentirne nessuna. Questo viceversa è un libro pieno di voci, un libro fatto di voci, un distillato di voci. E un ritratto di una comunità dall’interno della comunità stessa, che non vuole né spiegarla e né giustificarla. Potrebbe sembrare un libro identitario, a chi voglia pensare che il romanismo sia un’identità, e invece per me dimostra che il romanismo è una pluralità di individui che parlano, commentano, litigano, ricordano, vociano. (Ah, e bestemmiano.)

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“Le bambinacce” di Marco Rossari e Veronica Raimo, con illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio (Feltrinelli)

Vorrei vedere più libri scritti da un duo maschio/femmina: la forma attuale del capitalismo ci vuole auto-identificati nella nostra singolarità; mentre ho questa idea che la letteratura dovrebbe testimoniare la mescolanza, l’irriducibilità, la contraddittorietà, la relazione. Queste sono poesie irriverenti, licenziose, liberatorie, che all’idea della fragilità infantile e femminile sostituiscono un robusto spirito desiderante e creativo. È un libro che gli autori si sono divertiti a scrivere, e che io mi diverto a leggere e rileggere.

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“Paura e disgusto a Las Vegas” di Hunter Thompson, traduzione di Sandro Veronesi (Bompiani)

Un libro di un altro tempo: punk, scorretto, trionfalmente disordinato, che non ci chiede immedesimazione né (parola delicata) consenso, che spiazza e frastorna; un esempio di quella controcultura americana per cui sembrano venute meno le premesse, ma che mi auguro trovi nuove espressioni. L’edizione Bompiani di metà anni Novanta (che spero sia uguale a quella ancora in commercio) contiene un’appendice di approfondimento su luoghi, persone, fenomeni, sostanze collegate al libro, una gustosissima “Piccola Enciclopedia Psichedelica” scritta, fra gli altri, da Sandro Veronesi e Edoardo Albinati, Fernanda Pivano e Marco Risi, Gianni Minà e Francesca Marciano. Una ri-presentazione collettiva di un libro di culto. Ce ne fossero.

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“Finzioni” di Jorge Luis Borges, traduzione di Franco Lucentini (Einaudi)

Questa è l’edizione che lessi da ventenne; l’edizione attualmente in commercio è Adelphi e la traduzione è un’altra. Ma si possono fare mille traduzioni di questa raccolta di racconti e non penso che potrà mai sembrare meno di un capolavoro. Evviva i libri che ti fanno dire: non avevo mai letto un libro così, non sapevo che si potesse scrivere un libro così. Evviva la letteratura che sa di essere artificio, finzione, gioco, esperimento; nessuna storia, nel momento in cui uno la scrive, è “vera”.

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“Carne viva” di Merritt Tierce, traduzione di Martina Testa (Sur)

Spero che non appaia di cattivo gusto consigliare un libro a cui ho lavorato io stessa; quello con cui abbiamo inaugurato la collana di narrativa angloamericana Big Sur qualche anno fa. Secondo me vale sempre la pena di ricordare ai lettori che il catalogo degli editori non è fatto solo delle novità degli ultimi mesi, e che ci sono libri che, pur senza scalare le classifiche, meriterebbero una vita molto lunga, e forse la avrebbero in un ecosistema più sano dell’attuale. Carne viva è un romanzo working class, politico, sensuale, violento, carico delle forme meno rassicuranti dell’amore: un romanzo corale e uno spaccato sociale con al centro un ritratto di donna che brucia (e quindi che brilla, che ustiona, che puzza). Per me resta uno dei migliori esordi statunitensi del decennio.

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