Undset, il medioevo scandinavo e l’impossibilità di un amore

Torna in libreria “La saga di Vigdis” di Sigrid Undset, premio Nobel 1928. In un medioevo diverso da quello a cui siamo abituati si assiste a una marea emotiva lunga vent’anni, protagonista la bellissima e disperata Vigdis, alle prese con tragiche conseguenze della vita, con il limite tra colpa e innocenza più volte messo in discussione

A distanza di quasi un secolo Sigrid Undset, autrice norvegese vincitrice nel 1928 del premio Nobel per la letteratura, continua ad affascinarci – e a tentarci nella lettura  – con i suoi racconti storici, ambientati in un Medioevo diverso da quello a cui siamo abituati, lontano dai cicli Bretone e Carolingio, tutti incentrati sulla figura del cavaliere e delle sue gesta. Il Medioevo di Undset, infatti, è scolpito a misura di donna e della donna canta il coraggio.

Alta temperatura emotiva

In La saga di Vigdis (176 pagine, 18 euro) la velocità dell’azione è fondamentale e scandisce non solo il ritmo di una narrazione che rispecchia la snellezza propria della trasmissione orale, ma determina anche l’elevato calore della temperatura emotiva a cui si è sottoposti per tutta la durata del racconto.

Vigdis è una donna bellissima, i capelli che prendono la loro luce dal fuoco che le arde dentro e gli occhi impenetrabili. Ha solo quindici anni quando un giovane mercante islandese, Ljot, giunto in Norvegia per approvvigionarsi di legname, la nota a casa del padre, presso cui è ospite, e ne rimane folgorato. In un attimo la passione si trasforma in ossessione e Ljot, pur avendo più di una speranza di essere ricambiato da Vigdis, la prende con la forza nel temenos di un santuario silvestre, profanando l’inviolabile, sia in terra che in cielo.

La violenza e la risposta brutale

La rapidità con cui le aspettative del lettore si capovolgono è sconcertante, nella violenza e dalla violenza nasce un personaggio memorabile, Vigdis, distante anni luce dagli stereotipi della donzella vacua e sottomessa che lancia i capelli dalla torre per facilitare l’ascesa del suo cavaliere. Vigdis è forza pura e brutale, è l’incarnazione del dolore che ogni donna abusata, di ogni epoca e latitudine, è costretta a sopportare e, ancora di più, diventa lo straziante contrasto interiore tra la morte inflitta e la biologia della vita che in seguito a quell’uccisione le cresce dentro.

Undset non ci risparmia nulla dell’umanità della sua protagonista, che fa risaltare non per bellezza, ma per disperazione, sottolineando strenuamente l’inconciliabilità dell’odio che divampando la nutre – preparandoci alla più atroce delle vendette – e l’istinto di madre che la tramuta in lupa spietata, irreparabile strappo nel folto di un mondo assassino che le è franato addosso.

Tensione inalterata

Per tutta la durata della storia, – fitta di personaggi e azioni che sfruttano la brevità dello spazio concesso loro per costruire una marea emotiva lunga vent’anni – la tensione si mantiene inalterata, in un precisissimo gioco di equilibrio tra il destino di Ljot e quello di Vigdis, per sempre segnati da una maledizione che possono imputare solo a se stessi.

 

«Ma io amo la voglia scura che l’altra aveva tra i seni più di tutta la bellezza di Leikny. E amai di più lei quando mi colpì alla gola col suo coltello di quanto ami Leikny quando mi getta le braccia al collo. Ero meno infelice quando erravo d’inverno sulle montagne di Dovre pensando alla sua maledizione di quanto non lo sia quando torno a Skomedal e so che Leikny mi accoglierà con parole affettuose sulla porta di casa. Preferirei essere dilaniato dagli artigli di un orso bianco che saperla tra le braccia di Kåre»

Introspezione psicologica e originalità della forma

La grandezza del romanzo non risiede solo nella straordinaria introspezione psicologica di Vigdis e Ljot, e nelle tragiche conseguenze che continuamente si abbattono sui personaggi, al punto che il limite tra colpa e innocenza è più volte messo in discussione, ma anche nell’originalità della forma con cui l’autrice decide di mettere in scena il dramma, adeguando l’incisività dell’epica alla profondità emotiva.

Una grandezza che giustamente venne riconosciuta a Undset dal mondo letterario a lei contemporaneo e che oggi, grazie al lavoro di coraggiose e preparate case editrici, Iperborea nel 1992 e Utopia Editore nel gennaio 2021 – l’edizione che ho tra le mani è proprio quest’ultima, nella traduzione di Margherita Podestà Heir –, può finalmente arrivare fino a noi e tenerci sospesi prima di colpire a fondo, micidiale pezzo unico forgiato da un dio di cui ci eravamo dimenticati.

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