La Liguria di Vergassola? Favole ribaltate tra ironia e denuncia

Le Cinque Terre sono protagoniste di altrettante favole speciali nell’ultimo libro di Dario Vergassola, “Storie vere di un mondo immaginario”: racconti che fanno sorridere e riflettere, un’ironia amara con cui si sottolineano soprattutto – anche dal punto di vista di uno scorfano o di alcune acciughe – i rischi che corre l’ambiente a causa dell’uomo, le derive che minacciano animali e paesaggi

Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza, Monterosso: cinque perle adagiate ad arte sulla costa del levante ligure per cinque favole particolari. Sono quelle raccolte nel libro di Dario Vergassola Storie vere di un mondo immaginario. Cinque racconti delle Cinque terre (128 pagine, 17 euro), pubblicato da Baldini + Castoldi e illustrato dalle tavole di Mattia Simeoni. Favole sospese tra ironia e amarezza, tra risate e riflessioni sull’ambiente, tra mondi immaginari e un lembo di Liguria che risplende per la sua bellezza verticale e marina. È il mondo delle Cinque terre, a ciascuna delle quali Vergassola dedica una storia tutta particolare, per concludere con un epilogo che ribadisce la chiave di lettura e, facendo sorridere, riporta all’attualità più seria.

Storie al sapor di mare

Vergassola ha indubbiamente un occhio attento alla meraviglia che un territorio speciale come quello delle Cinque Terre, sospese tra collina terrazzata e mare, sa regalare ai turisti, che affollano questi luoghi da sempre, ma anche ai liguri, che vanno orgogliosi della bellezza semplice ma tutta da conquistare («La salita è dura, come tutte le cose da queste parti» annota l’autore che quelle terre le conosce bene) di quest’angolo di paradiso.

Da una favola all’altra si assaporano così struggenti tramonti a Manarola, osservati con sguardo romantico dal molo in mezzo al mare, si passeggia tra carruggi affollati di ristoranti sgomitando tra la folla che, in luoghi senza traffico, si riversa dalla piccola stazione ferroviaria. «Non so se Dio abbia inventato questo po­sto, ma a giudicare dalla sua bellezza potrebbe essere anche il contrario» azzarda Vergassola ben consapevole dell’unicità di cinque borghi incastonati in un paesaggio spettacolare che i colori delle tavole disegnate sanno riportare sulla pagina, accendendo la fantasia di bellezza e della morbidezza del sogno.

Del resto «Vernazza è proprio un bel paese, fatto come lo disegnerebbero i bambini» si legge: come non correre con l’immaginazione al trailer di Luca, il nuovo film Pixar in uscita nel 2021 che sarà ambientato proprio in un caratteristico borgo ligure? Ci sono le fasce terrazzate, le chiesette (a volte preziose, come quella di Monterosso che custodisce una Crocifissione attribuita a van Dyck), le sere tiepide di cicale e lucciole e l’antico incubo dei saraceni da cui difendersi con case arroccate sulla scogliera tra voli vertiginosi di rondini e risacca fiorita di anemoni.

Il mare è protagonista assoluto, non solo perché quasi tutti i protagonisti di queste favole sono creature legate all’acqua salata, ma perché tutte e cinque le perle del Levante si specchiano nel blu che incornicia i loro profili: dalla spiaggia di Monterosso al crinale su cui domina Corniglia, fino alla scoscesa via centrale di Riomaggiore, che precipita in mare tra le case color pastello, le barche e le reti dei pescatori. Un «tesoro d’acqua salata» popolato da creature straordinarie tra sirene che si fingono polene e acciughe che danzano creando riflessi.

Un’ironia grottesca

Se il paesaggio lussureggiante e dolcissimo nella sua semplicità naturale rinfranca l’anima, Vergassola si diverte però, mentre racconta, a giocare con la forma della favola introducendo elementi inediti e stravaganti. Lo fa attraverso le parole degli animaletti protagonisti, le loro storie insolite e voli di fantasia, ma anche con le vicende che li coinvolgono, a volte grottesche e dal finale amaro, molto diverse dalla classica favola per bambini che, solo apparentemente, questo libro sembra voler ricalcare.

C’è sempre un rimando al mondo vero, una battuta, un occhiolino, come il canto delle rane che omaggia Luciano Berio, la totanessa che regna sulla profondità del mare ma che ha più l’aspetto di un ordigno bellico inesploso, il dialogo surreale della voce narrante con uno scorfano agonizzante sul banco di mercato, nell’epilogo. Bastano poche righe, insomma, per capire che la favola è spesso ribaltata, e non stupirà così assistere alla fine poco romantica di un povero polpo, a un piatto di acciughe che improvvisamente prendono la parola, e così a una principessa che baciando un ranocchio non lo trasforma in principe ma diventa invece una rana come lui.

Favole contemporanee, forse, ma sicuramente in pieno stile Vergassola, venate cioè di un’ironia che non è mai gratuita e che, nella punta amara che restituisce, sa riagganciarsi al mondo reale, a conferma che quel mondo immaginario richiamato nel titolo è solo uno dei tanti riflessi creativi possibili per raccontare delle verità. È un mondo fatto di meraviglie che, infatti, risulta un po’ acciaccato: lo sa bene l’assessore del paesino turistico che ancora non ha capito che la tuffatrice che incanta i visitatori è una sirena, lo sanno le sapienti acciughe, testimoni di larga parte della storia socio-culturale di tutta la Liguria, e impareranno a scoprirlo il totano innamorato di un limone e il ragazzo-polpo che perderà il cuore dietro una turista.

Un ambiente da favola

Le acciughe in cerchio nel vassoio, quasi co­perte d’olio con il loro abito lucente fatto di squame d’argento che cambiava luce in base a come danzavano, sembravano somigliare alle foglie degli ulivi che si muovono nel vento che annuncia il temporale e, simili alle sacerdo­tesse di un coro greco, presero la parola nello stupore generale. «Adesso basta», dissero le acciughe. «Ma quali menti migliori, ma quali cervelli, voi umani poco sapete e poco vole­te imparare. Ignorate quello che succede nel mondo e siete buoni a fare solo dei disastri».

Dietro l’intreccio di bellezza e ironia amara con cui Vergassola racconta queste cinque storie c’è in realtà un intento luminoso, quello cioè di parlare di ambiente, e di denunciare le derive con cui l’uomo minaccia animali, paesaggi e priva sé stesso di tutti i tesori che le cinque perle delle Cinque terre ben rappresentano.

Il fil rouge dell’ambiente e della sua tutela tocca la storia del girino albino e accusa una coppia di crudeli umani mangiatori di rane, ma anche la pesca scriteriata che spesso non si cura del rispetto delle apposite aree marine, il turismo spietato intento a fotografare senza curarsi troppo della peculiarità dei luoghi e dei propri abitanti. E così, tra mugugni, reti da pesca e un mare da scoprire, le acciughe puntano il dito (o la pinna?) contro gli abusi umani che le vedono adagiate su vassoi pronte a essere offerte come stuzzichino da aperitivo, i totani genitori allarmano i totani figli sul pericolo delle uscite in mare aperto per il rischio di essere catturati, e le ultime sirene del Mar Ligure si rifugiano nel loro passaggio segreto e ogni tanto tagliano le reti dei pescatori di frodo per liberare gli abitanti del mare.

Una chiara denuncia, in forma giocosa ma non troppo, e l’invito a una maggiore attenzione all’ambiente che arrivano espliciti per bocca del povero scorfano morente dell’epilogo: «Tutti uguali siete, voi umani, cerca­te di non sentirvi in colpa per quello che state facendo al mondo andando a comprare il na­sello per i figlioli o un filetto d’ombrina o una mostella, nascondendo tutte le schifezze che siete capaci di fare e gettando con questo gesto paternalistico un velo di ipocrisia sulla vostra coscienza». Una morale tutta d’un pezzo, ma ricamata a partire dal quel mondo immaginario e meraviglioso che, parallelo alla realtà e da questa ispirato, saprà solleticare l’attenzione e la coscienza di tutti i lettori con l’efficacia necessaria al vero cambiamento.

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