Ci sono neri italiani, le belle e chiare idee di Uyangoda

Saggio e memoir, “L’unica persona nera nella stanza” di Nadeesha Uyangoda, è un enorme no al razzismo che deve partire fra quanti detengono il potere economico e sociale. Giornalista audace e consapevole, racconta piccole e grandi discriminazioni, vissute anche sulla propria pelle. E indica la strada per cambiare rotta…

Nera italiana. Nadeesha Uyangoda ha quasi trent’anni, ma ne ha vissuti più di venti in Lombardia, dove è approdata a sei anni, per raggiungere la madre dallo Sri Lanka, sua terra d’origine. Giornalista freelance con tante collaborazioni prestigiose, Uyangoda aveva scritto un lungo articolo che ha via via cambiato pelle, diventando un intenso (pieno di idee e di riferimenti bibliografici) saggio e memoir, L’unica persona nera nella stanza (173 pagine, 15 euro), pubblicato dalla casa editrice 66thand2nd. Ci ha visto lungo Alessandro Gazoia, a lungo editor per 66than2nd e minimum fax, e adesso approdato a nottetempo, come direttore editoriale.

Sottrarre argomentazioni ai razzisti

La ragazzina che si arrampicava scalza sui tetti, immagine con cui si apre questo libro autobiografico, è diventata una donna audace e consapevole, che ragiona sulla scomodità e sulla difficoltà di essere l’unica persona nera nella stanza, e sui pochi neri che, in Italia, riescono a farsi largo nel dibattito pubblico, al di là di quando vengono interpellati per parlare di discriminazioni e razzismo: più difficile emergere in altri campi (nelle professioni, nell’industria culturale, ancor più nei luoghi di potere), tranne forse che nell’ambito musicale. La ragazzina, pesantemente apostrofata su un pullman per andare a Monza, a scuola, e che avrebbe reagito con aplomb a future discriminazioni, adesso ha idee chiarissime e sono belle idee, e obiettivi concreti, ad esempio: «… sottrarre al razzista, più o meno consapevole, la sua principale argomentazione: la convinzione che un nero non potesse essere italiano».

Social e token

La lotta è giornaliera, ma non ci si illuda davanti a catene virtuose e a slogan via social network, ammonisce nelle sue pagine Uyangoda. L’indignazione estemporanea, senza una critica condivisa, può essere fiamma che brucia in fretta, «Migliaia di like, condivisioni e commenti a farci credere che le cose potrebbero cambiare, che già sta succedendo, per poi restare, in realtà, esattamente come sono […] le campagne di indignazione di massa a lungo andare ci anestetizzano al problema». E non ci si illuda davanti a certe narrazioni che sono caratterizzate solo da tokenism, l’altra faccia delle quote razziali, «figlia del politically correct americano».

… il token diventa quel soggetto che è inserito all’interno della narrazione a palese rappresentanza delle minoranze etniche: non è mai il protagonista, è sempre l’oggetto in cui lo spettatore deve leggere la capacità di inclusività di chi ha prodotto quella narrazione. I produttori, gli editori, i conduttori che si credono più furbi degli altri li potete individuare facilmente: prendete i loro cataloghi e controllate quanti autori, attori protagonisti, speaker di colore ci sono. Se ne troverete solo uno o due (ma anche tre o quattro, in base al mercato), quelli sono tutti token – un marketing facile in un’epoca in cui la coscienza popolare ci impone di sembrare, più che di essere, più inclusivi e diversity-friendly.

Razzismo istituzionale e mediatico

In modo disarmante Nadeesha Uyangoda mette in guardia da pericoli quotidiani. Dal razzismo istituzionale – quello della feccia della classe politica italiana – giustificato con la libertà di espressione – a quello sui media («Quando il razzismo istituzionale incontra quello mediatico, si normalizza»), dove determinati contesti televisivi, ad esempio, finiscono, nolenti o volenti, per fare da cassa da risonanza a individui e opinioni becere. Di questo saggio e memoir colpiscono la libertà intellettuale e la lucidità, la sincerità e il coraggio. La forza dirompente che le parole di Nadeesha Uyangoda fanno rimbombare è quello che piace di più del suo libro. Uyangoda sottolinea l’utilità di ogni piccolo no al razzismo, ma ancora di più quelli enormi da fare emergere, presso chi detiene il potere economico e sociale. Per raggiungere il traguardo servono dei passaggi ineludibili e specifici: «…esercitare pressione affinché chi detiene il potere smantelli le strutture, il linguaggio, le pratiche che rendono la nostra una società razzialiizzata»

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