A lunga conservazione. Nietzsche che dietzsche

Dissertazioni innecessarie in odor di classici, miti, testi teatrali, riscritture e interpretazioni; non per forza consone a un presente calpestabile o fresco di stampa. Ecco il senso di questa rubrica, firmata da Stefano Di Lauro. Si inizia col filosofo Nietzsche: fosse nato oggi sarebbe impazzito ancor più precocemente. Sono tempi tremendamente insalubri…

Nietzsche che dietzsche. Ovvero: Nietzsche che ci dice di nuovo. Di nuovo in entrambi i sensi.

Ho aperto “nuovo” in Word per scrivere una certa cosa ma ne sto già scrivendo un’altra. Avrei voluto soffermarmi sugli ambiti tematici di questa nuova rubrica invece salterò il preambolo a favore di un’associazione di idee.

Ma nel deragliamento non voglio perdermi un pezzo di troppo: palesare che questa collaborazione con LuciaLibri mi mette di ottimo umore.

A lunga conservazione (come le spezie, dopotutto) è un modo come un altro per dire “inattuale”, che a sua volta non è un eufemismo per dire “scaduto”. Si tratta di dissertazioni innecessarie in odor di classici, miti, testi teatrali, riscritture e interpretazioni; non per forza consone a un presente calpestabile o fresco di stampa.

L’associazione con le Considerazioni Inattuali di Nietzsche dovevo aspettarmela. E di lì, alla rinfusa su alcuni capisaldi del pensiero nietzscheano, di per sé frammentario e asistematico, proprio come ciò che mi accingo a borbottare senza pretesa alcuna, perché sono un irriducibile visionario, dunque un pettinatore di bambole e non già un filosofo. A dirla meglio mi sento piuttosto un pettinatore di comete, occupazione altrettanto inane ma con l’indubbio vantaggio d’una effettiva impraticabilità.

Elettroshock curriculare

Nietzsche è, o meglio, è stato per molti un elettroshock curriculare negli anni cruciali della gioventù. Non so proprio chi ne abbia combinate di più, se tutto il decadentismo o lui da solo. Direi che se la giocano.

L’Eterno Ritorno dell’uguale che, ad onta della confutazione di Borges, innesca capogiri da paura. E la morte di Dio, la deriva della cultura giudaico-cristiana, il Nichilismo che travolge valori fondativi, pseudo-valori e le convenzioni imbolsite ipocrite bacchettone che sostanziano lo “spirito del gregge”.

Che nelle intenzioni di Nietzsche il Nichilismo non fosse che l’anticamera di un rinnovamento era chiaro; molto meno chiaro però risultava il conseguimento d’una rinascita di tale portata. L’approccio al Superuomo restava vago, confinato com’era nei suoi vaticini aforistici. Difatti la volontà di potenza e il Superuomo, o meglio, letteralmente l’Oltreuomo, si sono prestati a legittimare e propagandare le atrocità di ben note, tragiche ideologie. Anche il superomismo del poeta-soldato D’Annunzio fu un’appropriazione indebita in seguito avallata dai cataloghisti letterari: assolta la sua maestria di poeta, alla base si trattava di un severo disturbo narcisistico di personalità.

L’Oltreuomo, verso una profezia riuscita

In tempi recenti sono stati fatti accostamenti avventati tra l’Oltreuomo e il “transumano” frutto delle ibridazioni tecnologiche alle quali è sottoposto il Sapiens Sapiens, che Nietzsche valutava come semplice anello tra la scimmia e l’Oltreuomo, ultimo stadio di uno straordinario processo evolutivo di autocoscienza nel quale anche la biologia ha la sua parte.

E quindi: se per transumano non si intende l’uomo bionico e/o assoggettato a una superintelligenza artificiale, ma quello completamente ingegnerizzato geneticamente, frutto di un salto biologico, non più succubo di tutte le implicazioni d’una vulnerabilità organica e quindi psichica, allora sì, l’Oltreuomo nietzscheano potrebbe diventare una profezia riuscita.

Un indigesto cambio di passo

Altro nido di rimescolamento, almeno per me, è stata La nascita della tragedia. Grazie ad essa ho capito perché Euripide mi dava l’orticaria. Perché a un certo momento, a scapito del dionisiaco, dominio dell’ebrezza e dell’irrazionale, nella tragedia irrompe la razionalità: quel buon senso che di lì a poco diventerà il senso comune della narrazione non solo teatrale. Da Euripide in avanti la miracolosa alchimia di ordine e disordine, di armonia e furore orgiastico che aveva infuso nel teatro greco quella forza sacrale, inimitabile e potentissima, sarà soppiantata dalla strana coppia quotidiano-psicologia.

Adduco un solo esempio per chiarire la mia avversione per questo cambio di passo.

Euripide (fra l’altro inventore della tragedia happy end) fu anche autore di un’Antigone, della quale per fortuna ci sono pervenuti pochissimi frammenti. Quel che di più ne sappiamo si deve a tale Aristofane di Bisanzio, grammatico e bibliotecario della leggendaria Biblioteca di Alessandria. Il buonuomo ci dice che in linea di massima il soggetto euripideo ricalcava la tragedia di Sofocle, ad eccezione di alcuni incresciosi dettagli. Lo smisurato contrasto tra la legge scritta degli uomini e la legge non scritta del sangue e degli dei è contrappuntato dall’amore esperito tra Antigone ed Emone, il figlio del tiranno: essi sono sposati, forse in segreto, e hanno persino un figlio. Ah, dimenticavo, la tragedia finisce bene e gli sposi vivono felici e contenti. Doppio ah: a benedire l’unione sarebbe stato niente meno che Dioniso, la divinità estatica libertina e animalesca per antonomasia.

Sembra la trama di un Dinasty trasmesso in un salone di bellezza, ideale tappezzeria narrativa fra un colore e una manicure.

Ecco, questa caduta verticale dal mito alle piccole miserie delle nostre miserabili vite ordinarie mi procura un profondo malessere, che, nello specifico, uso lenire abbarbicandomi alle parole di Marguerite Yourcenar. Nella sua breve prosa lirica Antigone o della Scelta quel tesoro della Yourcenar annota: «[Antigone] evita in Emone il rischio orribile di generare dei vincitori». Questo sì che è abissale.

La “storia critica” unica compatibile con la vita

E veniamo alle Considerazioni Inattuali di cui all’inizio, in cui Nietzche s-parla di Storia con la maiuscola e mette in guardia contro “l’astro dello storicismo”. Ai minimi termini, la questione è cernere una concezione di storia utile alla vita da altre che non lo sono affatto. Nei feticci della storia monumentale e antiquaria Nietzsche ravvisa ingombri pericolosi che trattengono lo slancio vitale: sono modelli di riferimento che drenano linfa alla pienezza dell’Essere. Venerare la tradizione equivale a vivere col freno a mano inserito. Per contro, la “storia critica” è l’unica compatibile con la vita perché rilegge e condanna il passato ben conscia che i fatti in sé sono stupidi e che la storiografia è già manipolazione. Non resta che interpretare, utilizzando come criterio la vita stessa nel suo farsi. Insomma, per non vivere da epigoni, bisogna avere il coraggio di sciogliere il passato, di perdersi nell’oblio, affinché la “malattia storica” non interferisca con la “forza plastica” che è, a tutti gli effetti, capacità taumaturgica, rigenerativa, trasformativa e progettuale. Mettere il dito nelle piaghe del presente malato diventa quindi “inattuale”: uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare. E lui per fortuna se ne fece carico.

Il tempo della modernità, ammonisce Nietzsche, è un “prestissimo”, un frenetico susseguirsi di stimoli che non lasciano traccia. È la grande abbuffata di cibi ingurgitati a casaccio, e la pessima digestione che ne consegue lascia i commensali vieppiù intontiti e passivi.

Oggi l’oblio, ma senza forze propulsive

Forse assomiglia a qualcosa che ci riguarda da vicino. Nel nostro caso però non è colpa della Storia ma d’un analfabetismo anche emozionale. Si può negare solo ciò che si conosce, certo non ciò di cui si ignora l’esistenza. Sarebbe bello incazzarsi con la Storia. La speculazione nietzscheana utilizzava il Nichilismo per demolire, azzerare, creare “oblio”, ma in vista di una ricostruzione che si sarebbe compiuta nella coscienza allargata del Superuomo. Ai nostri giorni all’oblio ci siamo arrivati, ma non c’è traccia di nuove forze propulsive. Al contrario, il futuro prossimo del Sapiens Sapiens si prefigura orizzontale, algido e impersonale.

Il povero Friedrich si voleva postumo e inattuale. Se fosse nato oggi sarebbe impazzito ancor più precocemente. Sono tempi tremendamente insalubri.

Ps: L’ipotesi che la malattia mentale che lo afflisse prematuramente fosse dovuta a neurosifilide è stata recentemente confutata dal Dipartimento di Neurologia dell’Università di Ghent. L’anamnesi e la storia clinica del filosofo deporrebbero a favore d’una sindrome rara nota come CADASIL.

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