I “sette libri per l’inverno” di… Stefano Di Lauro

Romanzi, ma anche poesie e saggi, un unico comune denominatore: libri bellissimi. Lo scrittore Stefano Di Lauro (ultimo libro lo splendido “Troppo lontano per andarci e tornare”, per Exorma, di cui abbiamo scritto qui) con i suoi suggerimenti di lettura indica libri che vale la pena scoprire o riscoprire…

“Spillover” di David Quammen (Adelphi)

Il termine spillover indica il salto di specie d’un virus che improvvisamente impara a trasmettersi da un animale all’uomo. Torna (o meglio, resta) sul pezzo questo testo, fra saggio e reportage, pubblicato da Adelphi nell’ormai lontano 2014 (la versione originale è del 2012). David Quammen, scrittore e autorevole divulgatore scientifico statunitense, aveva pronosticato un’imminente zoonosi pandemica con probabile epicentro in un mercato cinese. Non era una fantasiosa profezia letteraria; seguendo le tracce di scienziati cacciatori di virus, l’autore aveva semplicemente assemblato le conclusioni degli esperti.
“Quando hai finito di preoccuparti di questa epidemia, preoccupati della prossima”, ammonisce Quammen. Ben lungi dal compiacimento catastrofista, “Spillover” ci illustra con dovizia di particolari l’evidenza scientifica delle cause: lo squilibrio degli ecosistemi dovuto all’impatto antropico. Non serviva la sfera di cristallo. Se abbiamo passato il punto di non ritorno lo capiremo solo vivendo. A oggi raccogliamo i cocci della sordità selettiva delle istituzioni e dei governi mondiali che per troppo tempo hanno subordinato le emergenze ambientali alla furia incantatrice della crescita incontrollata dei profitti e dei consumi.
E ora, ladies and gentlemen, ecco a voi i Dies Irae.

“Da A a X – Lettere di una storia” di John Berger (Libri Scheiwiller)

John Berger (1926-2017) è stato tra i più versatili e prolifici spiriti del nostro tempo. Un uomo “contro”. Saggista, critico d’arte, maestro dello sguardo, sismografo del presente, disegnatore, sceneggiatore, scrittore e molte altre cose. Sempre nel segno di una militanza politica e civile a favore delle minoranze; cosa che in più occasioni gli è valso l’ostracismo della retorica filo-americana. Il suo romanzo più famoso è “G”, vincitore di prestigiosi premi letterari. Quello che vi consiglio è il più recente Da A a X – Lettere di una storia, uno splendido, scorticante epistolario a senso unico, quello di A’ida per Xavier, due rivoluzionari militanti. Xavier, condannato al carcere a vita, non può più né vederla né risponderle. Toccherà ad A’ida elaborare una resistenza attraverso le parole, tenere vivo un tempo comune, e scongiurare che l’eterno mancarsi si sciolga nella dimenticanza.

Ogni notte ti metto insieme – osso dopo osso, delicatamente. L’errore più grande che si può fare è credere che l’assenza sia il nulla. La differenza tra i due è una questione di tempo. Il nulla è prima e l’assenza è dopo.

“Istanbul Istanbul” di Burhan Sönmez (Nottetempo)

Sopra sotto, fuori dentro, luce buio. Ma l’inferno è trasversale. Istanbul: quattro uomini, un vecchio un giovane un dottore e un barbiere, condividono la minuscola cella di una prigione sotterranea. Si scaldano gli uni sugli altri, piedi sui piedi, teste sui grembi. La cella è il presente, Istanbul il ricordo, miraggio d’antichi splendori. Non solo perché la vita libera ha preceduto la carcerazione, ma perché la città non è più la stessa, si sfigura giorno per giorno, segnata dal sopruso, dalla violenza e dalla rivolta.
Burhan Sönmez è un avvocato turco impegnato in prima persona nella difesa dei diritti umani, sbalzato da un’accogliente infanzia rurale alle quotidiane cronache dell’intolleranza.
In una sorta di Decamerone allucinato, i quattro prigionieri si sostentano con pane e acqua, reciproche premure, ma soprattutto grazie alla taumaturgia del narrare, del narrarsi. Non le colpe commesse, perché sotto tortura potrebbero tradirsi. Altre storie: nostalgiche, volgari, spiritose, crudeli, non sempre vere né sempre false. Talvolta odorose di piccole felicità speziate, più spesso di sentori autunnali della libertà sfiorita.

 

“La crociata dei bambini” di Marcel Schwob (SE)

All’inizio del XIII secolo, due spedizioni muovono dalla Germania e dalla Francia. Entrambe composte di bambini ansiosi di raggiungere e liberare il Santo Sepolcro. Strada facendo, nuovi proseliti ingrossano le colonne dirette verso il mare. I bambini credono di poterlo traversare a piedi asciutti. “Non li autorizzavano, forse, e proteggevano, le parole del Vangelo: Lasciate i piccoli venire a me, e non glielo vietate? Non aveva dichiarato il Signore che basta la fede a muovere una montagna? Il miracolo previsto non avvenne.” Molti di loro non giungono neanche in prossimità dei porti mediterranei, sterminati dal gelo e dalle malattie. Chi riesce ad imbarcarsi da Genova e Marsiglia non ha sorte migliore: alcuni fanno naufragio, altri sono catturati e venduti come schiavi nel continente africano.
Su questa vicenda Marcel Schwob costruisce un breve racconto corale. Memorabile. La stessa storia viene raccontata con la voce di personaggi diversi, ciascuno dei quali restituisce il suo resoconto: il goliardo, il lebbroso, lo scrivano, l’errante musulmano, alcuni bambini e ben due papi.
Per Schwob, maestro visionario del decadentismo europeo, ammetto d’avere un debole e un debito di riconoscenza. Un corpo sottile, il suo, che ha innervato diverse mie creazioni. Proprio non potevo esimermi dal segnalarvi questo cameo della letteratura francese di fine Ottocento.

 

schwob

“Tony Nessuno” di Andrés Montero (Edicola Ediciones)

Edicola Ediciones nasce in Cile dove Paolo Primavera, abruzzese, frequentava un master, e dal 2015 è anche in Italia, a Ortona, con sede sociale nella storica edicola cittadina della famiglia Primavera. Già questo mi fa gongolare. Un ponte italo-cileno, uno scambio di autori “alla pari”.
Ciò detto, veniamo al primo romanzo di Andrés Montero, scrittore e cantastorie cileno, classe 1990, nella traduzione di Giulia Zavagna. È una storia incisa sulla sabbia, fiabesca e friabile, ma anche una favola nera. C’era una volta un piccolo circo scalcagnato dal nome altisonante: Grande Circo Garmendia (e io ri-gongolo). Nella tradizione circense, il “Toni” è il clown rosso, anche noto come “Augusto”. Ebbene, un bel giorno un misterioso arabo rifila ai circensi un bimbetto di tre anni senza nome e un’antica edizione de Le mille e una notte; ciò fatto, scompare come è apparso. Il pargolo è strano, misterioso, introverso; alla compagnia non piace affatto (donde il nomignolo di Tony Nessuno). L’unica a prendersi cura di lui è la giovane trapezista Javiera, la quale si mette in testa d’imparare a memoria le oltre duemila pagine de Le mille e una notte. Nessuno e Javiera cammineranno insieme, sospinti dal flusso e dall’influsso affabulatorio delle novelle orientali: perché è fatale che ogni mito generi destini.

“Fuoco centrale e altre poesie per il teatro” di Mariangela Gualtieri (Einaudi)

Corporea, essenziale e insieme cosciente della sua inadeguatezza. La poesia di Mariangela Gualtieri. Una lingua primaria e nucleare, la sua, cresciuta col Teatro Valdoca nell’artigianato del palcoscenico, e poi diventata verso scritto, ma sempre debitrice a una lingua orale, benedetta, da dire. Una lingua che predica la sua insufficienza evocando tuttavia evidenze ancestrali.
Impossibile leggerla senza muovere le labbra, senza suscitare altri involontari impulsi fisici.
Qui mi limito a consigliare l’antologia drammaturgica degli spettacoli della compagnia editata dalla stessa autrice. Testi ridotti ad hoc, che delineano tanto l’evoluzione della sua poetica che le declinazioni linguistiche attraverso le quali la Gualtieri ha di volta in volta affrontato le messe in scena della Valdoca nell’arco temporale 1991/2001.

 

“Il ballo delle pazze” di Victoria Mas (e/o)

Fresco d’inchiostro per i tipi della e/o, anzi freschissimo, tant’è che non ho avuto il tempo di leggerlo nella prima traduzione italiana di Alberto Bracci Testasecca. Ne avevo però goduto lo scorso anno, nella versione originale francese Le bal des folles, romanzo d’esordio di Victoria Mas.
Parigi, 1895. La Pitié Salpêtrière è uno dei più celebri ospedali psichiatrici europei diretto dal professor Charcot, rinomato neurologo e audace scienziato le cui ricerche influenzeranno niente meno che Herr Sigmund Freud. Ciò nonostante, come ben ci rammenta Michel Foucault, asili e manicomi restavano il confino elettivo della “diversità”, non per forza toccata dalla follia: spiriti eccentrici, anticonformisti, gente di malaffare, donne stuprate e altre “vergogne familiari”. Nella fattispecie, i grandi personaggi del libro sono donne. Durante la quaresima Charcot organizza nell’ospedale un ballo in maschera che, al ritmo di valzer e polka, vedrà la “Parigi bene” mescolarsi alle internate. Ma spesso la maschera non è che l’anticamera della verità. «La follia degli uomini e quella delle donne sono imparagonabili. Gli uomini l’esercitano sul prossimo, le donne su se stesse».

 

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