Non c’è posto per i sogni nel sud spietato di Fiorino

“Macello” di Maurizio Fiorino è un racconto di disamore, in un sud dove disagio e inadeguatezza hanno sempre il sopravvento sulla bellezza. Il protagonista Biagio, che sarà prima ragazzo e poi uomo, fa i conti con ombre visibili e invisibili, studi interrotti, matrimonio infelice, voglia repressa di fuggire. L’unico spiraglio sembra la passione clandestina vissuta con un altro uomo, Alceo, ma…

Sud remoto, in sfacelo e spietato, sud degradato di quaranta, cinquanta anni fa, quello in cui cresce Biagio, orfano di madre, e con un padre violento, l’anaffettivo e sgradevole macellaio Bruno. Il borgo di Bagnamurata è lo scenario, se si eccettua una parentesi romana, del nuovo romanzo di Maurizio Fiorino, proposto dalla casa editrice e/o: Macello (155 pagine, 15 euro), un gioiello di crudo realismo, scritto in un italiano che schiva qualsiasi fronzolo, con parole rudi, sporche, essenziali. Il ragazzo, Biagio, cresce piuttosto disadattato e senza punti di riferimento. Qualsiasi tipo di riscatto sembra impossibile, la bruttezza, il disagio, l’inadeguatezza e il fallimento sembrano prevalere sempre sul bello nella vita di un giovane che sogna di fare il boxeur, e prende a pugni le carcasse appese nel retro della macelleria paterna.

La vita è una condanna

Anche quando improvvisamente l’ombra minacciosa del padre evaporerà (alimentando le più disparate dicerie) per Biagio (che lo rivedrà solo in sogno) la vita non migliorerà. Resterà imprigionato in vari coni d’ombra, quelli di studi interrotti, nozze senza amore con la compagna di scuola Sara, fiato corto a proposito di qualsiasi prospettiva o sogno. Il calabrese Fiorino (che è anche fotografo, dettaglio di non poco conto) sa, senza orpelli, come fare emergere con forza e immediatezza tutte le ombre visibili e invisibili che inibiscono qualsiasi forma di pallida felicità per il protagonista. Il fatalismo che ne avvelena l’esistenza, la certezza di non meritare la bellezza. L’immobilismo di un luogo fisico, Bagnamurata, e dei luoghi dell’anima, cioè dei cuori che battono a stento fra quanti vivono lì, è reso perfettamente, ineluttabilmente. La vita è una condanna, sembrano dirci quasi tutte le pagine di questo romanzo, che fotografano strade che l’autore conosce bene, non c’è dubbio. Spensieratezza e ironia non abitano qui, c’è la donna che toglie il malocchio, la vicina di casa Lia, l’uomo che si veste da donna e paga i ragazzini, Vittorio, dove approderà anche Biagio, per comperarsi delle scarpe nuove.

Gioia minima e temporanea

In un libro gelido e brutale, spesso animalesco e ineluttabile, in cui il filo conduttore sono la frustrazione di quasi tutti gli attori, la voglia di fuggire e la rassegnazione che anche le fughe saranno inutili, c’è un personaggio che potrebbe tirare fuori dal guado Biagio, Alceo, pittore che sogna di diventare famoso, di esporre ed essere conosciuto. Il pittore rappresenta, nonostante tutto, la speranza di un’esistenza sensata, che merita la pena d’essere vissuta. È una gioia clandestina, minima e temporanea, come tutte quelle che percorrono questo romanzo. I due però divergono perché uno ritiene l’esatto opposto («Io esisto qui, non esisto da nessun’altra parte») dell’altro («Voglio esistere, voglio essere libero»). Macello di Maurizio Fiorino è un racconto di disamore, dolori intensi, di rassegnazioni, di sfinimento, di agonie, di emozioni e sentimenti azzerati, quelli che si srotolano in un epilogo oltremodo malinconico. Quelli che non danno scampo a nessuno, niente sogni, figurarsi redenzioni.

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