Dostoevskij 200. Le sue magnifiche donne, capaci di cambiare

L’11 novembre 2021 ricorre il bicentenario della nascita di Dostoevskij che di presentazioni non necessita, tanto la sua grandezza ha travalicato spazio e tempo. Le affascinanti protagoniste dei suoi romanzi rappresentano allo stesso tempo individualità definite e archetipi

Scambio di messaggi nella ciurma di LuciaLibri: l’11 novembre ricorrono i duecento anni della morte di Fëdor, inventiamoci qualcosa, non può cadere nel dimenticatoio, “non siate timidi”, esorta il capitano, “so per certo che per alcuni di voi Fëdor è pane quotidiano”.

Certo, Dostoevskij bisogna festeggiarlo, ma come si fa? Come si parla di uno degli scrittori più importanti della storia moderna? Dostoevskij che ha influenzato a livello mondiale letteratura, filosofia, filologia, teologia, sociologia. Non si comprende la Rivoluzione del ’17 se non si è letto I demoni. Non si penetra l’evoluzione del diritto se non si legge Delitto e castigo. L’idiota ha anticipato i romanzi del ‘900 con la visione dell’estraneità del genio rispetto alla società. I fratelli Karamazov è uno dei più raffinati studi psicologici sui rapporti familiari. Dostoevskij contiene se non tutto, molto, troppo e quando una lettrice (un lettore) entra in contatto con l’universo del suo pensiero si perde, si frammenta, per ricomporsi e capirsi meglio. Almeno, questo è quello che succede a me ogni volta che leggo un suo romanzo. Cito a proposito Paolo Nori, che questa cosa la spiega benissimo.

Ecco, io la prima reazione che ho avuto, quando ho capito di cosa parlava Dostoevskij in Delitto e castigo, quando Raskol’nikov si chiede “Ma io sono come un insetto o sono come Napoleone?”, ecco quella domanda, io quindicenne, me la sono rivolta anch’io: “Ma io” mi sono chiesto “sono come un insetto o sono come Napoleone?

E ho avuto, me lo ricordo perfettamente, la sensazione che quella cosa che avevo in mano, quel libro pubblicato centododici anni prima a tremila chilometri di distanza, mi avesse aperto una ferita che non avrebbe mai smesso di sanguinare. Avevo ragione. Sanguina ancora. Perché?”

(Sanguina ancora, Paolo Nori, Mondadori)

Terremoto emotivo, tensione intellettuale

Questo terremoto emotivo, questa tensione intellettuale sono talmente profondi da costituire un ‘evento’ di vita: io ricordo esattamente in quale periodo della mia vita ho letto i suoi romanzi e dove mi trovavo. Le notti bianche è stato uno dei miei primi acquisti in libri, un’edizione mignon venduta a scuola. Delitto e Castigo è stato il salto nel vuoto nella mia camera di ragazzina, superato lo spauracchio dei mattoni russi, la lettura penetrò così a fondo che ancora oggi per me la determinazione del concetto di colpa deriva dal discorso di Raskol’nikov su Napoleone. I fratelli Karamazov mi ha accompagnata in uno dei traslochi più importanti della mia vita. I demoni è il libro che ho portato in ospedale per il parto, una rilettura in realtà, e ancora oggi non saprei ancora spiegare il perché di tale scelta. L’idiota lo lessi in francese, all’epoca vivevo Oltralpe e lo straniamento lo sentivo molto. L’ultimo romanzo letto: Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti, quando credevo che Dostoevskij mi avesse detto tutto, ecco che mi stupisce ancora e la Russia della seconda metà ‘800 assomiglia in maniera indescrivibile al mio Sud di fine millennio. 

Un elemento narrativo fondamentale

Perché lo amo? Troppi i motivi razionali, quelli irrazionali neanche so spiegarli, ma ce n’è uno che forse prevale su tutti gli altri, la capacità di raccontare le donne e la centralità delle protagoniste. Non c’è un romanzo nel quale la donna non sia presente e non costituisca elemento narrativo fondamentale. 

Dostoevskij ha la capacità di raccontare la società russa e il suo presente in maniera iperrealista e allo stesso tempo trascendere l’immanente e rendere le sue storie universali ed eterne. In questo senso, se le donne dei suoi romanzi sono vittime degli uomini, se subiscono le decisioni dei maschi, Dostoevskij ne riconosce la parità centrando sulla loro figura l’evoluzione della storia (nel bene e nel male). Ricordo lo stupore leggendo l’epilogo di Le notti bianche, Dostoevskij non accomoda il finale sull’attesa e il desiderio maschile ma sul desiderio di Nasten’ka. 

Nastàs’ja Filìppovna

Se mi chiedete qual è il personaggio femminile che preferisco della sua produzione dubbi non ne ho: Nastàs’ja Filìppovna. Nel narrativo perfetto che è L’idiota, il fulcro intorno cui come una gincana si muovono i personaggi è Nastàs’ja, vittima di quello che oggi definiamo patriarcato, cerca una redenzione prima nell’amore per il principe Myskin, poi nel fuggire proprio al suo amore convinta di non meritarlo. La sua storia è in continua tensione tra l’assecondare il proprio volere e la tentazione di abbandonarsi al ruolo che la società ha scelto per lei rendendola, ancora bambina, l’amante di un nobile senza scrupoli. Il senso del possesso dei maschi verso Nastàs’ja è fortissimo e ne guida l’azione, unica eccezione Myskin per il quale è solo la donna da amare. La tragica fine di Nastàs’ja è l’epilogo ovvio della violenza dell’uomo sulla donna, il bisogno di possesso che Dostoevskij racconta benissimo attraverso l’analogia con la dote che la stessa Nastàs’ja brucia nel fuoco davanti agli uomini tormentati nell’incertezza tra l’avidità (salvare il denaro) e l’orgoglio (lasciarlo bruciare per non ammettere di essere avidi).

Le logiche perverse fra donne

Altro punto fondamentale è la capacità di descrivere le logiche perverse che guidano i rapporti tra le stesse donne: l’astio di Varvara verso Nastas’ja, la sfida tra questa e Aglaja per l’amore di Myskin rappresentano in maniera esemplare la competizione in cui le donne sempre sono tenute per conquistare quanto loro spetterebbe. La forza del personaggio di Nastas’ja è nella sua complessità, il suo agire è incomprensibile se non alla luce del tormento emotivo che la guida e la necessità di affrancarsi dalla volontà altrui. 

Se dei suoi romanzi, ho amato le donne, delle donne di Dostoevskij ho sempre ammirato la capacità di cambiare. Le protagoniste non sono monolitiche, non restano fedeli alla prima immagine che danno di sé; nel corso del romanzo compiono un percorso accompagnato da un cambiamento psicologico profondo senza perdere la propria identità. Emblematica in questo è Sonja, la giovane prostituta sfruttata dalla sua famiglia che incontra sulla propria strada Raskol’nikov in Delitto e castigo. La incontriamo quasi senza identità, fiaccata dalla miseria della prostituzione e nel corso del romanzo la vediamo affermare carattere e sentimenti. La forza morale della protagonista riscatta la turpitudine dei personaggi che la circondano; è Sonja a guidare il pentimento e la redenzione di Raskol’nikov, ovvero la necessità di redimersi per meritare l’amore di lei.

Mutamenti e modernità

Cambia Grusenka (I Fratelli Karamazov), anche lei vittima delle voglie di uomini potenti, usa il suo fascino per il divertimento di sedurre e poi, a sua volta, abbandonare fino al cambiamento impercettibile nei toni dei dialoghi, nel calo della sua aggressività, nella calma che inizia ad arrivare con la sua persona, così Grusenka inizia il suo percorso di conversione e redenzione. Cambia Lizaveta (I demoni) da promessa sposa di un uomo ‘perbene’ ad amante di Stravogin e per tutto il romanzo ci si chiede se sia Stravogin a corromperla o se sia la sua forza di donna a volere amarlo anche a costo della propria reputazione (e della propria vita).

Le protagoniste dei romanzi di Dostoevskij rappresentano allo stesso tempo individualità definite e archetipi (mai stereotipi). La figura della generalessa Krachòtkina (Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti) è la ragione stessa della misoginia maschile: autoritaria, dispotica, capricciosa, fatua, schiava dei propri piaceri tanto da denigrare lo stesso figlio. Il personaggio di La Mite è la donna vittima dell’arroganza maschile che non cede ai sentimenti, senza responsabilità per la gelosia del marito resta vittima di quel nodo coniugale che la società non le permette di sciogliere. 

La modernità di queste figure è evidente e torna nella caratteristica dei caratteri e nella manifestazione di tali caratteri in dialoghi, movenze, gesti, espressioni. Questa grandezza ha attratto il mio amore per lo scrittore ma certo non lo ha esaurito, di ragioni per amarlo ce ne sono, come si diceva, infinite e in due libri importanti per capirlo ho trovato la traccia di risposte esaustive:

Eppure – ecco il paradosso di Dostoevskij nella letteratura moderna – per un istante, per un batter di ciglia, l’indefinito processo di arresta e il “sì” e il ”no”, il “nero” e il “bianco” cessano di confondersi; e verità accecanti e folgoranti illuminano la tenebra.

(Il male assoluto, Piero Citati, Adelphi)

Per Tolstoj la luce della morte splende sulla vita dal di fuori, decomponendo, spegnendo i colori e le immagini della vita; per Dostoevskij essa splende dall’interno.  E la luce della morte e quella della vita sono per lui la luce di un unico fuoco, acceso dentro la “lanterna magica” dei Fenomeni. Per Tolstoj tutto il senso religioso della vita è racchiuso nel passaggio dalla vita alla morte. Per Dostoevskij questo passaggio sembra non esistere affatto, egli sembra morire durante il tempo in cui vive. Le voragini continuamente aperte gli spiragli di luce, gli eccessi di male sacro (epilessia) hanno assottigliato, reso diafano il tessuto della sua vita animale, l’hanno fatto rado, trasparente, tralucente tutto di luce interiore. Per Tolstoj il mistero della morte è oltre la vita, per Dostoevskij la vita stessa è mistero come la morte. Per Tolstoj esiste solo l’eterna contrapposizione della vita e della morte; per Dostoevskij soltanto la loro eterna unità. Tolstoj guarda la morte dell’interno della vita con lo sguardo dell’aldiqua; Dostoevskij con lo sguardo dell’aldilà guarda la vita dall’interno di ciò che ai viventi sembra la morte.

(Tolstoj e Dostoevskij – Vita, creazione, religione, Dimitrij Merezkovskij, Laterza)

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