Storia delle bambine perdute, La Spina ai fasti del passato

Un romanzo sul male e sul potere, d’ambientazione palermitana e settecentesca, è “L’uomo del viceré” di Silvana La Spina. Una prova riuscita. Maurizio Belmonte, nobile tornato a Palermo dopo uno scandalo, è al servizio del viceré Caracciolo che gli chiede di indagare su una serie di delitti, in cui le vittime, orrendamente torturate, sono bambine. Un giallo storico che si intreccia con il vissuto del protagonista, i cui pensieri oscillano fra due possibili amori…

Una tetra Palermo settecentesca che intriga, camei d’eccezione (il vicerè Caracciolo, l’avvocato illuminista Francesco Paola Di Blasi con certe intuizioni, Sofia Schulz, la “pittora dei morti”), atroci delittii in serie e un vecchio tormentato amore, spento bruscamente, che torna a galla. Con l’autrice che, a pagina 115, ci ricorda alcune parole di Voltaire: “Un vecchio amore è come un granello di sabbia che ci tormenta per sempre”. Difficile resistere a simili ingredienti, sorretti da una scrittura sapiente e da una capacità di dispiegare l’andamento narrativo con naturalezza e senza nessun calo di tensione, anzi. Silvana La Spina, scrittrice sicula e veneta, torna ai fasti dei suoi romanzi migliori. Non ce ne voglia, ma la trilogia dedicata alla commissaria Maria Laura Gangemi (Uno sbirro femmina, 2007, La bambina pericolosa, 2008, Un cadavere eccellente, 2011) era piuttosto dimenticabile. Con quest’ultima prova, invece, La Spina ci rammenta perché non si possa prescindere dal ricordare il suo nome al momento di raccontare gli ultimi decenni della narrativa italiana.

Il viceré illuminista non amato e irriso

Con il suo ultimo romanzo Silvana La Spina riprende il filo della sua lunga indagine intorno al potere, nelle sue varie accezioni. Lo fa attraverso una storia che mescola alto e basso, nobildonne e cicisbei da una parte, bambine derelitte dall’altra, religione e superstizione, buio e luce. Il sogno di una rivoluzione di stampo illuminista in Sicilia resta nei pensieri del viceré, il marchese Domenico Caracciolo (“Questa città è abominevole”, gli scappa a un certo punto, visto i gelidi e ipocriti rapporti con l’aristocrazia locale), che non trafigge i cuori né dell’aristocrazia (affezionata a privilegi di natura feudale) né della povera gente, che lo irride ribattezzandolo il Paglietta. La longa manus del re Ferdinando I di Borbone deve fare i conti con problemi più prosaici: assassini, con tanto di torture, di più di una bimba, la pista di un serial killer affidata al suo braccio destro, Maurizio di Belmonte, affascinante palermitano, tornato in patria dopo uno scandalo, che si ritroverà presto ad aver che fare con un suo vecchio amore, Viola Inzerillo, finita in sposa a un francese: un matrimonio infelice, tanto più che il marito adesca ragazzini per pochi spiccioli. Forse nel cuore dell’eroe c’è perfino spazio per un altro amore…

Affresco, delitti e sentimenti

L’uomo del viceré (297 pagine, 18 euro), questo il titolo di Silvana La Spina per la sua prima volta con l’editore Neri Pozza, non è solo un affresco storico e sociale di palazzi storici e bassifondi, di un’anima palermitana che non sembra essere cambiata oltre due secoli dopo, non è solo un enigma che sembra senza soluzione, e nemmeno una telecamera sull’altalena dei sentimenti del protagonista, attratto non solo dalla vecchia amata, ma da Sofia Schulz. È tutte queste cose assieme, senza scadere in luoghi comuni, senza annoiare, senza restare in superficie, trascinando i lettori dietro le apparenze o le facili soluzioni. Per sciogliere quelli che sembrano delitti inspiegabili – le bimbe, che indossano tutte particolari medagliette con l’Arcangelo Gabriele, ammazzate atrocemente e abbandonate per strada, la cui voce è esplicitata dall’autrice in alcuni brevi capitoli scritti in corsivo – bisogna seguire una pista che porta a un personaggio indecifrabile, seguace di Cagliostro, a confraternite, e a un’odiata istituzione al tramonto, l’Inquisizione spagnola…

E se ci fosse un sequel?

Indizio dopo indizio Silvana La Spina conduce chi legge a un epilogo, non è questa la sede in cui spiegare di che natura. Lo fa con mano sapiente, evocando ogni cosa lentamente, accelerando – è un dispiacere – negli ultimi capitoli. Maurizio di Belmonte è senza dubbio la figura più compiuta, imbevuto degli ideali dell’Illuminismo, convinto che la fede non possa bastare (“l’uomo deve capire chi è”), fiero avversario del male, specie il più abietto. Il finale sembra ben compiuto, ma non necessariamente definito. Chissà che Silvana La Spina non sorprenda tutti e decida di scriverne un sequel.

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