Ammaliante Lewinsky, ode all’arte di narrare

Charles Lewinsky è un moderno cantastorie. Il suo romanzo “L’inventore di storie” fa pensare a una fiaba antica, ma è al tempo stesso romanzo storico e di formazione. Protagonisti un uomo in fuga e un ragazzino, sveglio e acuto osservatore, che ha una memoria prodigiosa e sa come raccontare una storia…

Parlando di Charles Lewinsky si può dire, senza timore di essere smentiti, che siamo in presenza di un narratore vero, un mestierante della parola, intrattenitore di grande talento, un cantastorie moderno. Con Einaudi ha pubblicato La fortuna dei Meijer (2007) e Un regalo del Führer (2014). Adesso possiamo dire che ha cambiato completamente registro, pur rimanendo nell’ambito del romanzo storico. L’inventore di storie (600 pagine, 20 euro), il suo nuovo romanzo pubblicato in Italia da Sem, con la traduzione di Valentina Tortelli, è una chicca.

Nella Svizzera medievale

L’ambientazione è medievale e si aggancia alla storia (vera) delle comunità rurali della Svizzera del ‘300 in lotta per non soccombere allo strapotere degli Asburgo. Per cui non sbaglieremmo se definissimo il libro in questione un romanzo storico: le descrizioni, i protagonisti, le tante storia che arricchiscono il plot principale, sono pennellate vivide che fanno vivere il romanzo con tutti e cinque i sensi; la voce narrante, invece, è un ragazzino di nome Sebi in cerca della propria strada: per cui non sbaglieremmo neppure se nel presentare questo romanzo lo definissimo “di formazione”; ma per la struttura, lo stile e la caratura degli indimenticabili personaggi – dal fuggitivo Mezzabarba alla narratrice di professione Anneli di Belzebù – il lavoro di Lewinsky fa pensare soprattutto ad una fiaba antica, carica di poesia, folklore, magia e azione. Insomma un romanzo di difficile collocazione, una storia-contenitore dal fascino irresistibile. 600 pagine dense, ricche e scorrevoli, che non lasciano spazio agli sbadigli.

Sguardo innocente su un mondo cinico

L’incipit è folgorante: un uomo in fuga da chissà cosa, col volto mezzo bruciato (Mezzabarba), arriva in un villaggio montanaro e nel giro di poche settimane stravolgerà la pacifica routine della comunità di cui fa parte il piccolo Sebi. Il misterioso Mezzabarba è un burbero con conoscenze non comuni: la sua ritrosia sarà vinta poco alla volta da Sebi, che da lui avrà modo di imparare tanto. Sebi vive con la madre e i fratelli, ha uno zio che si crede un eroe di guerra e gioca a fare il capopopolo, ma non è portato per la rude vita della montagna, né vuole dedicarsi alle armi o chiudersi in un monastero. Cosa che sarà costretto a fare alla morte della madre. Sarà proprio in convento che Sebi imparerà a leggere e a scrivere, ma lì capirà anche che la realtà è spesso ben diversa da come ci appare. Fuggirà, conoscerà i primi palpiti dell’amore e la delusione che ne può derivare. E troverà “il suo lago”, ovvero la sua strada: Sebi è un ragazzino sveglio, un acuto osservatore, ha una memoria prodigiosa e sa come raccontare una storia. Il suo è uno sguardo innocente su un mondo cinico e crudele.

Una vita dedita al racconto

Pagina dopo pagina, avventura dopo avventura, gli eventi – concatenati magistralmente dall’autore – trasformeranno Sebi da bambino in giovane uomo, capace di destreggiarsi, di decidere, di scegliere, di distinguere il bene dal male. Un viaggio affascinante, una metafora del potere (immenso) della narrazione – tema più attuale che mai – che accompagna l’uomo sin dalla notte dei tempi. E non solo. Già, perché Lewinsky fa dell’apprendistato di Sebi anche una riuscita metafora della propria esistenza, un’esistenza dedita al racconto (nelle sue molteplici forme) e all’arte della parola: le ultime righe del romanzo, in questo senso, saranno rivelatrici. Se vi piacciono le storie, l’inventore di storie è pronto ad ammaliarvi.

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