Re o ciambellano? L’inno alla vita di Branciaroli

Esordio nella narrativa per l’immenso attore shakesperiano. Con “La carne tonda” Franco Branciaroli (si) regala – tra un diluvio lessicale e una rivisitazione di sintassi e lingua – un intercalare narrativo con incursioni nel terreno di un porno-letterario tra l’orrido e il sublime. Una piccola alterata epopea urbana dallo stile rabelaisiano, grottesco, i cui contenuti non fanno sconti al politicamente corretto

Su La carne tonda di Franco Branciaroli ho letto di “scrittura materica”, forse un termine elegante per definire un guazzabuglio di parole gettate su foglio (cosa in sé non un male) e un grumo di dis-avventure, spacconerie e storie più o meno resistibili e varie che si rincorrono senza soluzione di continuità, condite spesso da sesso sfrenato più o meno estremo fino al limite del grottesco. Un intercalare narrativo con continue incursioni nel terreno di un porno-letterario tra l’orrido e il sublime del quale chi leggerà saprà giudicare gli esiti. Un memoir sotto mentite spoglie? Una pseudo autofiction del più grande attore teatrale “skakespeariano” italiano vivente? Un attore (interprete anche di alcuni dei più noti film di Tinto Brass) che divide i colleghi in due categorie: chi sa fare i re e chi non sa fare i re, includendosi implicitamente nella prima categoria dall’alto delle sue superbe e innumerevoli interpretazioni di re shakespeariani, aggiungendo che “il re è il teatro”, il teatro alto, perché è l’unico luogo dove la parola diventa subito azione. Perché questo è Franco Branciaroli, il quale alla veneranda età di 75 anni ha pensato bene di esordire nel mondo delle lettere con questo volume edito da Aragno (257 pagine, 20 euro), forse un modo per non rassegnarsi ad abbandonare un palcoscenico che ha calcato con successo per molti anni (e c’è da volergli ben per questo), da ricordare il suo sodalizio artistico con Giovanni Testori e le sue collaborazioni con Carmelo Bene, oltre al suo ampio repertorio sui capolavori del Bardo.

Un romanzo teatrale ad atto unico

La Carne tonda di Franco Branciaroli è in effetti nella struttura e nello stile un romanzo, se così lo si può definire, molto teatrale, ad atto unico, nessuna divisione in capitoli, nel quale spicca la grande personalità dell’autore; non sarebbe altrimenti ammesso un tale diluvio lessicale e una libera rivisitazione della sintassi e della lingua che non manca di creare curiosi neologismi per connotare alcune parti anatomiche, quali i reiterati termini di “tafanario” e “Re di Spagna”, mentre la qualità letteraria e la godibilità è un altro discorso e anche frutto di valutazioni soggettive. È uno di quei libri sui quali il giudizio è costantemente in bilico tra il capolavoro, come spesso avviene a seguito degli strombazzamenti di qualche celebre critico à la page e una sentenza tranchant del tipo La corrazzata Potemkin di fantozziana memoria. Si tratta parlando di libri come questi di trovare il La, l’attacco giusto per parlarne, il quale ne determinerà il sintetico giudizio, perché di La carne tonda è difficile parlarne, e questo non va a demerito dell’opera prima di Branciaroli come di ogni opera letteraria che merita prima di tutto di essere letta e sentita piuttosto che razionalizzata.

Un’Odissea in Mercedes     

In un libro come questo non è tanto importante quello che si dice, ma come lo si dice e questa è indubbiamente la parte più interessante di La carne tonda. La trama è ridotta al vagabondare sul filo della memoria del protagonista in una odiosamata Milano corrotta e viziosa, una quasi joyciana (anche per lo stile utilizzato) odissea con la fedele compagnia di una vecchia Mercedes che lo porta a rivisitare sulle tracce dell’amico avvocato Mezzera, un lestofante e mitomane, una sorta di Virgilio dantesco metà dannato e metà beato, personaggi, frequentazioni (con un contorno di donne sempre presenti) e situazioni di un‘esistenza sempre al limite. Lo stile è rabelaisiano, grottesco, in alcuni casi brutale e i contenuti non fanno sconti al politicamente corretto, con digressioni che potranno far storcere la bocca a qualcuno con le varie ed estreme narrazioni che oltre che nel porno sfociano in alcuni casi nello scatologico e nella zoofilia. Gli incontri fra i vari attori di questa piccola e alterata epopea urbana avvengono per lo più in bar e caffè, sorseggiando Martini e frizzantini che stimolano con la loro gradazione il profluvio spasmodico di accadimenti e reminiscenze, del resto Milano è la culla del rito dell’aperitivo ora virato al più globale e modaiolo happy hour.

Strizzando l’occhio alla neoavanguardia

Un vitalismo esasperato e una comicità buffonesca che sembra voler lasciare sullo sfondo, a distanza di sicurezza, il lato tragico dell’esistenza, come in una commedia shakespeariana. Uno stile che strizza l’occhio a certa neoavanguardia sicuramente senza l’intenzione da parte dell’autore di scimmiottare alcunché perché si intuisce come lo stesso si sia divertito nell’esecuzione godendo a pieno della massima libertà che può dare la scrittura. Una scrittura pulviscolare, un rincorrersi di particelle narrative slabbrate e slegate da un’ipotetica cornice tradizionale che infatti non esiste se non come traccia e che sono i ricordi del protagonista declinati in gran parte sulla foia libidinosa dei vari personaggi. Un libro per molti aspetti illeggibile se non in uno stato di alterata coscienza letteraria (cosa che in sé non è un male) e a suo modo un inno alla vita, una sua celebrazione (anche se molto sui generis), il titolo dovrebbe essere un indizio ma su questo è opportuno lasciare ai lettori lo scoprirne la motivazione come agli stessi è lasciata l’ardua sentenza di dire se con La Carne Tonda Branciaroli possa essere annoverato tra i re della letteratura italica presente o prossima a venire oppure al massimo possa trovare posto tra i ciambellani di corte.

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