Olga Campofreda, essere sinceri con la propria idea di libertà

Con un sapiente mescolamento di piani narrativi e temporali, in “Ragazze perbene” Olga Campofreda si addentra tra i riti di un’adolescenza vissuta all’ombra della Reggia di Caserta e di un caleidoscopico presente londinese. Una bella prova, una scrittura sicura di sé e senza fronzoli, con passaggi oggettivamente memorabili. E una certezza: non c’è giusto, non c’è sbagliato…

«Quante porte ci separano dalla versione di noi stessi che più ci assomiglia? E da quella che diciamo di essere?»

Ecco l’interrogativo alla base del romanzo di esordio di Olga Campofreda, Ragazze perbene (224 pagine, 18 euro), uscito a gennaio per NN Editore nella collana le Fuggitive, la nuova serie di NN volta a raccogliere storie di donne che si sono mosse, spostate.

E infatti, anche se tutto in questa storia che si legge veloce, costruita in alternanza di presente e passato, riecheggia le vie, le piazze, i palazzi e le istituzioni della città di Caserta, radice e provenienza della voce narrante, la protagonista è un’expat: una ragazza che ha deciso di recidere quel filo, di cercarsi un’esistenza altrove, e più precisamente a Londra, dove peraltro l’autrice vive.

L’expat di buona famiglia

Mi aggiungo alla lista di quelli che si definiscono expat: vengo da una buona famiglia, una famiglia che mi ha fatto studiare, e allora come dice mia madre pare brutto chiamarsi emigrati.

La storia è quella di due ragazze cresciute gomito a gomito, respiro a respiro, negli anni ’90. Compagne di classe, confidenti, amiche, la prima ombrosa, acuta, sempre un po’ ai margini – Clara, la protagonista –, la seconda diafana e luminosa come un’aurora, fragile, il vanto dei propri genitori, la ragazza “giusta”. Rossella è proprio così, bellissima, desiderata, ottimi voti, corso di danza, inserita presto nel circuito delle sfilate di moda come indossatrice di abiti da sposa, un solo e unico fidanzato importante, l’uomo che sposerà, Luca.

Ed è appunto per il matrimonio di Rossella e Luca che a Clara viene chiesto di tornare a Caserta: Rossella è sua cugina, oltre che la persona con cui ha più intensamente vissuto in quegli anni strani e cruciali dell’infanzia che trascolora nell’adolescenza.

Questo invito, l’addio al nubilato di Rossella, rivedere la famiglia estesa, i conoscenti, i vicini, la città, i propri genitori che non hanno mai veramente compreso cosa abbia spinto Clara, cresciuta nel migliore dei modi come “ragazza perbene”, a strappare il cordone ombelicale e costruirsi un futuro di insegnante d’inglese a ricche e ricchi londinesi annoiati passando di Tinder Date in Tinder Date, dà occasione alla protagonista di rimettere a fuoco tutta la sua vita, riavvolgendo il nastro come in una delle tante cassette che copiava di nascosto rubandole a casa delle amiche.

Anche perché Luca, il futuro sposo, ha una doppia identità: è il ragazzo che ha mostrato la propria faccia più vera, più fragile, più complessa, proprio con lei, dentro e fuori da un’amicizia viscerale e un po’ border, fatta di sigarette sui bordi di una cava, di corse in motorino, di cd scambiati e imprestati, di confidenze difficili da fare a qualsiasi altra persona che non fosse lei, Clara.

Luca, figlio di una professoressa di liceo classico e di un noto avvocato, approdato con lode agli studi universitari di giurisprudenza, nasconde delle ferite, ed anche dei gusti personali, un carattere, dei dolori: non è solo la diapositiva perfetta del più popolare del liceo, il fidanzato che tutte vorrebbero.

Quando tornò indietro aveva sottobraccio uno skate. Mi chiese se avessi mai provato, gli dissi di no e allora me lo lanciò tra le braccia. Mi impegnai a starci in equilibrio ma caddi al primo tentativo di fare qualche metro, allora mi sfidò a provarci ancora e ancora. […] Dopo aver raccolto un numero sufficiente di cadute, ci sedemmo su un blocco di marmo al centro di quella montagna mangiata dalle ruspe, ascoltando musica dai nostri lettori cd fino a quando non furono entrambi scarichi. Avevamo passato a ripetizione Territorial pissings dei Nirvana perché il resto del disco era tutto graffiato, ma ci andava bene così. Ammazzare la melodia era uno dei pochi atti di ribellione che riuscivamo a concederci esulando dal senso di colpa.

Grandi fasti passati, grandi difetti presenti

Con un sapiente mescolamento di piani narrativi e temporali, Olga Campofreda si addentra tra i riti di un’adolescenza vissuta all’ombra della Reggia di Caserta, questa entità in cui l’autrice sembra un po’ concentrare lo spirito immobile ma inquisitorio della città, come se da quei muri trasudasse simbolicamente l’essenza di un luogo dai grandi fasti passati e dai grandi difetti presenti, tra cui un incrollabile provincialismo.

In antitesi a Caserta, sigillata nei suoi luoghi comuni, nei suoi pettegolezzi sulla compagna di classe rimasta incinta o sul ragazzo della sezione accanto finito male, sul fidanzato della tal conoscente che in realtà è su Tinder eccetera, c’è il dinamismo di Londra, coacervo di immigrati provenienti da mille Paesi diversi, che fanno mille lavori diversi e vivono in condizioni più o meno bohémien in mille appartamenti condivisi diversi.

Olga Campofreda ci comunica questo dinamismo attraverso la trovata dei Tinder Date.

“It’s a Match!”, titola a inizio capitolo: e da lì parte un’altra storia, una storia nella storia. Così veniamo a contatto con le vite che intersecano quella di Clara a Londra, entriamo in appartamenti, pub, locali, conosciamo fotografi, creativi, camerieri e giovani professionisti di tutte le nazionalità, con le loro inclinazioni e le loro idiosincrasie.

Cristallizzare un’epoca

Ma, tolta Londra, restano al centro del romanzo Clara e Rossella circondate dal proprio entourage di ragazze perbene, quelle «con la camicia stirata che profuma di pulito e gioielli preziosi ma non troppo, come si addice a una ragazza ancora giovane»: le due cugine che attraversano con gli inevitabile alti e bassi, le prime trasgressioni e i segreti condivisi gli anni Novanta, identificati dall’autrice con Britney Spears, che infatti è in citazione in apertura.

Per il Natale del 1999 io e Rossella ricevemmo lo stesso regalo. Erano dei pacchettini blu elettrico, sottili e lucidi, chiusi da un bollino familiare che diceva Fonoteca Sgueglia. Il disco che ci eravamo meritate era quello di Britney Spears.

Tutti questi oggetti, modi di dire, nomi, riferimenti che rimandano a degli anni bellissimi, i ’90, di cui è pervaso il libro, fanno pensare all’operazione simile compiuta da Caminito nel suo L’acqua del lago non è mai dolce (ne abbiamo scritto qui): fare della narrativa la maniera di cristallizzare un’epoca, provare a distillarne il succo, strizzando l’occhio con confidenza a quella fetta di lettori che quelle cose se le ricorda davvero.

Una bella prova, una scrittura sicura di sé e senza fronzoli, eppure curata, che regala passaggi oggettivamente memorabili. Non un libro solo per ragazze, e soprattutto non solo per “ragazze perbene”.

Tra chi resta e chi se ne va, c’è anche spazio per una vitale sferzata di novità, per un positivo messaggio di riscatto: alla fine non c’è giusto o sbagliato, c’è trovare se stessi ed essere sinceri con la propria idea di libertà.

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