Area 22. Luca De Angelis e l’umorismo salvagente degli ebrei

Dolore e persecuzione non minano mai del tutto del tutto il desiderio di una vita felice: nella partita a scacchi del popolo eletto con il destino, con la morte e con Dio ha un ruolo fondamentale l’umorismo in cui “il riso si mescola ad una misericordia benevola”. Lo spiega Luca De Angelis nel saggio “L’uomo pensa, Dio ride”, nuova puntata della rubrica Area 22

All’ombra dell’ultimo sole s’era assopito un pescatore e aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso. Cosa c’entrerà mai De Andrè con Area 22?

A parte il fatto che De Andrè c’entra sempre, perché è l’Omero della musica leggera italiana e i suoi testi sono un compendio della meravigliosa complessità della scimmia nuda, che sarà pure nuda ma pensa, troppo o troppo poco, e di casini ne combina parecchi; in un’epoca politicamente corretta, che ha condannato a morte lenta ma inesorabile quella sana risata sorniona e un po’ bastarda che alleggeriva la vita e sosteneva l’umore di un’Italia sempre in ambasce, Faber, il cantautore degli emarginati, ci aiuta a ricordare che gli occhi degli ebrei, di tutti i tempi, sono lo specchio di un’avventura, portano impresso il marchio di un’unicità irripetibile, pagata a prezzo di un’irrimediabile vocazione, essere il popolo eletto.

L’uomo pensa, Dio ride. Declinazioni dell’umorismo ebraico (275 pagine, 17 euro) di Luca De Angelis, edito da Marietti 1820, costituisce un omaggio affettuoso ma estremamente dettagliato allo straordinario salvagente del popolo ebraico, il loro umorismo, che non ha eguali perché è la manna che da millenni consente a quest’umanità vessata, scacciata, fraintesa, invidiata, ammirata, annientata, di sopravvivere a tutto, persino a se stessa …

Vita longa est, si uti scias

Seneca, in cui si fatica a distinguere l’uomo dal filosofo tanto le due materie sono compenetrate, fissa nella memoria dei secoli, con la consueta arguzia intrisa di speranzoso fatalismo, ciò che potremmo pacificamente considerare l’atavica resilienza ebraica (considero la parola resilienza una mia licenza poetica, poiché è termine abusato, ma in questo caso non ho trovato sinonimo più adatto a ciò che volessi esprimere).

Il popolo ebraico, in cui la religione costituisce radice fondativa di coscienza identitaria, ha fatto della resistenza ad oltranza la sua cifra stilistica.

Gli ebrei però non sono mai (un mai che tiene conto delle inevitabili eccezioni connaturate alla fragilità di quella canna pensante che è l’uomo) schegge impazzite di un meccanismo inceppato, neanche di fronte ai più biechi tentativi di disumanizzazione.

Il popolo eletto combatte una partita a scacchi col destino e quando occorre con la Morte (riemergono da antri nascosti della mia memoria gli echi meravigliosamente inquietanti del Settimo sigillo, il capolavoro di Ingmar Bergman) e persino col Padre Eterno, con cui non ha timore reverenziale di confrontarsi proprio perché è stato Dio stesso ad elevarlo ad un rango di predilezione, di cui paga un amaro riscatto.

Un Dio che parla

Lacan, psicanalista e filosofo francese, sostiene che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, ed esplicita un concetto che ritroviamo espresso in svariati modi nel saggio di Luca De Angelis, ovvero che:

Il Dio degli ebrei è un Dio che si definisce attraverso la parola, è un Dio che parla.

L’ottica particolareggiata dell’autore è quella dell’umorismo ebraico, trasmesso  geneticamente con carattere dominante da padre in figlio, e non utilizzo questo modo di dire a caso, perché è indubbia una prevalenza di un certo tipo di ironia negli ebrei maschi. Chissà forse anche questa peculiarità faceva parte dell’Antica Alleanza, ma per il quieto vivere i patriarchi hanno tenuta segreta la faccenda (eh sì, qui l’ironia la sto facendo io, che sono femmina ma ho la giustificazione di essere cattolica…).

L’uomo pensa, Dio ride, descrive in maniera puntuale, precisa, ciò che distingue e rende un unicum l’umorismo ebraico, in cui “il riso si mescola ad una misericordia benevola”, perché altrimenti si ridurrebbe ad un bieco e laido sarcasmo. Moltissimi gli esempi inanellati da Luca De Angelis di autori che fanno dell’ironia il loro marchio di fabbrica, da Kafka a Gary, da Freud a Bellow (che ho amato al primo sorso), da Singer al mio adorato Italo Svevo, e molti altri ancora, fra cui spicca un personaggio singolare e controverso come Woody Allen che si potrà anche biasimare per molte scelte di vita ma che, obtorto collo, non si può non invidiare per la sagacità delle sue affermazioni, una per tutte, riportata dall’autore: “Per te… per te io sono un ateo. Ma per Dio sono la leale opposizione”.

Ciò che il testo intende sottolineare in maniera decisa, senza cedimenti al buonismo o ai luoghi comuni sull’ebreo errante e sofferente, è che Israele, qui inteso come incarnazione di un intero popolo, non considera il dolore, la persecuzione, come dei valori, sono accadimenti che strappano dal cuore le illusioni, ma che non riescono a minare mai del tutto il desiderio di una vita felice.

Ironia e mai rassegnazione

Gli ebrei avrebbero rinunciato volentieri a millenni di peregrinazioni angosciose, di accuse mortificanti, di drammi impronunciabili.

Giobbe si ribella al suo destino, piange, vorrebbe sfuggirgli, ma incarna perfettamente lo spirito del messianismo ebraico per cui, come sapientemente fa notare Luca De Angelis: “Si può essere Ebreo con Dio o addirittura contro Dio, ma non senza Dio”. L’ebreo attende, con pazienza, con ironia pungente, con rabbia, con generosità, ma mai con rassegnazione, di giungere finalmente alla Terra Promessa che da tempi immemorabili lo aspetta.

L’argomento, di per sé interessantissimo, viene favorito da una scrittura fluida che scorre senza intoppi, che rende l’approccio al saggio un’esperienza gradevole, lieve senza essere leggera e che soprattutto offre una prospettica genealogica sul topos dell’ironia del popolo eletto (su cui, in altri contesti, si sprecano fiumi di banalità) che ha una sua valenza storiografica. L’uomo pensa, Dio ride costituisce una lettura decisamente consigliata per tutti coloro che nutrano il desiderio di approfondire tematiche universali, e non solo per chi, come la sottoscritta, subisca il fascino del sottile ma potentissimo umorismo ebraico perché d’altronde, per citare il regista di Match Point, Fintanto che l’uomo sarà mortale, non potrà mai essere del tutto rilassato.

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