L’amicizia fino alle estreme conseguenze, ed è Reza… dei conti

Torna in libreria “Babilonia” di Yasmina Reza: una festa si intreccia con una tragedia impensabile, un avvenimento che rinsalda la solidarietà fra un uomo e una donna, entrambi vittime di solitudini e matrimoni al capolinea. Un romanzo su ciò che di beffardo e assurdo c’è nella presunta normalità, e dove le coppie sono alle prese con grottesche inquietudini, ingranaggi irrazionali, lievi ferite

L’affilata perfidia del tragicomico, con cui mettere a punto il congegno di un dramma farsesco o di una crudele commedia, può avere soltanto un nome e un cognome, quelli di Yasmina Reza, già attrice e regista, oltre che drammaturga e romanziera dissacrante, arguta, non convenzionale. Pupilla di Teresa Cremisi in Francia, Yasmina Reza l’ha ritrovata in Italia sotto le insegne di Adelphi, di cui Cremisi è diventata presidente qualche anno fa. A sette anni dall’edizione in hardcover torna in libreria, in formato tascabile sempre per la casa editrice milanese, Babilonia (157 pagine, 12 euro), reso in italiano da una delle nostre migliori traduttrici, Maurizia Balmelli, abilissima sia col francese che con l’inglese.

Ambientazione claustrofobica

Consueta ambientazione claustrofobica anche in Babilonia per Yasmina Reza: due piani di una palazzina in un immaginario sobborgo parigino, Deuil-l’Alouette. Una festa si intreccia con una tragedia impensabile fino a poco prima, un avvenimento che rafforza fino alle estreme conseguenze il rapporto di amicizia fra la voce narrante, la sessantenne Élisabeth Jauze, nata Rainguez, addetta all’ufficio brevetti dell’istituto Pasteur, moglie di Pierre, e il coetaneo Jean-Lino Manoscrivi, mite e timido vicino di casa, di origini italiane, uomo di pochi sussulti, mingherlino, volto butterato, sposato con la dispotica Lydie, salutista di ferro, di professione cantante. Fratelli di solitudine e di impacci, assenze e bisogni come minimo comune denominatore della loro affinità, visto che entrambi sono alle prese con matrimoni logoranti e senza slanci, giunti a binari morti.

La mediocrità dei giorni troppo placidi

Babilonia – in gran parte scritto a Venezia, dove la scrittrice francese ha una casa da una decina d’anni – è una storia di sorrisi amari, una vicenda ordinaria di individui normali in seno a una società contemporanea contraddistinta dal silenzio, dall’ipocrisia, dalla solitudine. Inizia tutto con un party, una cena di inizio primavera, con amici e vicini, concatenarsi di maldicenze, piccoli rimbrotti fra mariti e mogli, collere trattenute, dettagli non insignificanti, chiacchiere senza troppo costrutto, frasi di circostanza, mentre nevica. Algida e spietata, Yasmina Reza vira verso un umorismo grottesco e nero, dopo che la vicenda prende una piega tragica – anche a causa di un gatto di nome Edoardo – con l’apparente sconclusionata contromossa di Élisabeth contro le onde del destino. Umorismo e tragedia sì, ma senza dimenticare di raccontare la vita vera, quella che tutti, per un motivo o per un altro, facciamo finta di non vedere e omettiamo. Yasmina Reza rovista nelle solitudini, nelle inquietudini e nelle paure degli individui, specie quelli dalle esistenze più regolari e tranquille. È forse per sfuggire alla mediocrità dei giorni troppo placidi che si srotolano davanti a lei che Élisabeth rischia tutto. Ed è nella solidarietà che Reza probabilmente crede, più che nell’amore e nel matrimonio.

Infelicità, malintesi, caos

Un romanzo che si fa metafora della Babele caotica16, di piccoli e grandi malintesi, che ognuno di noi vive. Un romanzo che “scoppia” a causa di una leggerezza apparentemente innocua. Un romanzo che non crede nella normalità, ma semmai a tutto ciò che di beffardo e assurdo c’è nel Dna della presunta normalità. Un romanzo che non crede alle coppie, a meno che non emergano piccole infelicità, grottesche inquietudini, ingranaggi irrazionali, lievi ferite, sconfinamenti rispetto ai limiti delle convenzioni e dei cliché.

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