Ioana Pârvulescu, una bimba e le ferite aperte della Romania

Un racconto delicato e limpido nel passato di una terra multiculturale, attraverso la voce innocente di Ana, la componente più giovane di una grande famiglia della Transilvania, che accoglie in sé le storie antiche di un popolo in continuo divenire. È “Dove i cani abbaiano in tre lingue” di Ioana Pârvulescu

Tutti gli adulti della casa dicevano che si è tante persone quante lingue straniere si conoscono, e tutti erano almeno tre o quattro persone, diverse tra loro perché le lingue conosciute erano diverse, ma il rumeno, il tedesco e l’ungherese apparivano nel repertorio di ciascuno. Un amico di famiglia ripeteva spesso che a Brașov persino i cani abbaiano in tre lingue.

Dove i cani abbaiano in tre lingue di Ioana Pârvulescu, pubblicato da edizioni Voland, è il romanzo che non ti aspetti, che mescola storie e Storia, ricordi e Memoria, giocando con i brividi dell’infanzia e costruendo così un racconto universale e intimo al tempo stesso.

A condurre il lettore attraverso un viaggio che lo porterà a scoprire la Romania, le sue trasformazioni e le sue ferite, è Ana: una bimba attenta, curiosa, meraviglioso mix etnico, che la rende il perfetto esempio di inclusività.

La definizione del Paradiso

La nostra casa aveva raccolto la storia nei modi più vari e ospitava racconti di vita e di morte. Lei, era evidente, accettava chiunque.

Protagonista indiscussa nello scorrere lento e magico dell’infanzia di Ana, è la sua Casa: un’eroina che ha superato due guerre mondiali, due terremoti e un bombardamento.

La casa conserva i giochi, le lacrime, il profumo di peperoni e la gioia delle feste di tutta la famiglia di Ana, composta da nonni, zii e cugini, e si fa cassa di risonanza delle emozioni dei suoi componenti.

Se lei era sopravvissuta, lo potevamo fare anche noi.

Siamo negli Anni ’60, in via Majakoskij, nella capitale della Transilvania, a quel tempo le case avevano una faccia ed erano abitate dai vivi, ma accoglievano anche morti.

Pagine di momenti cristallizzati in un tempo innocente, dove la vita si trova in un continuo disequilibrio tra i desideri infantili e i desideri degli adulti, dove tutto fa sorridere, anche le storie tristi. Giornate a interpretare le storie dei libri letti, delle gite in montagna e della caccia ai galletti.

Il mio mondo era semplice e si ripeteva senza annoiarmi. Qualcuno mi ha detto in seguito che questa è proprio la definizione del Paradiso.

Gli alberi di Stalin

Le microstorie che colorano i ricordi giovanili di Ana e portano il lettore in un via vai temporale che ripercorre gli eventi fondamentali della sua mitologia famigliare, s’intersecano con la macro Storia, proiettando sul terreno narrativo le ombre del comunismo, poi gli eventi della guerra e le ostruzioni umane nel fluire placido della convivenza.

Cresciuta in una città in cui ogni strada è stata ribattezzata almeno due volte, Ana è testimone inconsapevole delle lotte ingaggiate dal mondo degli adulti.

Ricco di metafore pregnanti, la narrazione è tutt’altro che frivola e riporta asciutta e inconsapevole, la complessità di un mondo in bilico tra Oriente e Occidente, tra detto e non detto.

Sembrano così lontani i racconti del vicino di casa in un gulag del Donbas, del prozio in Siberia, dei partigiani, del parente terrorizzato dal volo aereo e dei lavori forzati a cui erano costretti i prigionieri politici.

Passato e presente si sovrappongono in un triste flusso di coscienza che deforma anche i pendii del monte Tâmpa: sul lato sinistro, anche gli alberi piantati formavano, a caratteri cubitali, la scritta STALIN.

Ioana Pârvulescu, apprezzata saggista e raffinata critica letteraria, ci consegna un racconto emotivo, arricchito da un costante dialogo con il passato e con gli “altri”, donandoci una storia da conservare, perché ognuno di noi fa parte di questa Weltanschaung, che mescola idiomi e culture, sentimenti e prigioni, ricordandoci quanto, in realtà, siamo tutti uguali.

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