Spiritualità e pallottole, l’ovest immaginario di Baricco

Una trama a brandelli e cucita anche un po’ male, quella di “Abel” di Alessandro Baricco. La cui maestria resta però fuori discussione, un romanzo che stordisce attraverso una narrazione onirica e un pistolero…

Abel (160 pagine, 17 euro) di Alessandro Baricco, edito da Feltrinelli: davvero complicato poterne dare un giudizio, sibilare un qualsiasi sussurro che possa, anche lontanamente, assomigliare ad un commento. La maestria dello scrittore piemontese è fuori discussione. La sua capacità di trasformare in lirica, in epigoni poetici anche il bugiardino di un medicinale ha dell’incredibile. Questa dote la ritroviamo anche nella sua ultima pubblicazione, dove la vicenda di Abel Crow, coraggioso sceriffo e talentuoso pistolero, si snoda sotto le spinte di un vento sciamanico e misterioso.

Drenare lo sporco

Siamo in un ovest immaginario, privo di coordinate geografiche e temporali, nella polverosa e selvaggia terra del west in cui, nonostante la ruvidezza del territorio e l’asprezza di vite cresciute tra cavalli e pascoli, Baricco riesce a drenare lo sporco, ripulendolo con una scrittura intensa, dolce e, se vogliamo, anche esoterica.

Il confine tra vita e morte

Più che la trama in sé, fatta a brandelli e cucita un po’ male, stordisce in positivo l’aspetto quasi onirico di questa narrazione, che mescola passato e presente, spiritualità e pallottole, suggellando nell’amore tra Abel e l’affascinante Hallelujah il confine effimero tra la vita, “…che corre di padre in figlio, nei gesti più stupidi e nelle grandi curve della Storia”, e la morte, “…che è sangue sotto pelle”.

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