Paolo Di Paolo e il romanzo delle domande inconsuete*

L’’ultimo romanzo di Paolo Di Paolo “Romanzo senza umani” è un lavoro tanto coinvolgente nella lettura quanto complesso e stratificato nei contenuti portati alla luce da una lingua cesellata in maniera magistrale…

In assenza di occhi umani, la catasta di uccelli precipitati sul ghiaccio non suscita nessuno stupore. La temperatura è scesa di quasi ventri gradi sotto lo zero. Le emozioni mancano da giorni.

Non sono la prima a scriverlo, Romanzo senza umani (224 pagine, 17 euro) di Paolo Di Paolo, edito da Feltrinelli, ha un incipit folgorante.

Siamo sul Lago di Costanza durante l’improvvisa glaciazione del 1573. Il paesaggio è bloccato dal ghiaccio, il genere umano, come la natura e le emozioni, è paralizzato da un freddo che a quelle latitudini è distopico per intensità e durata. L’eccezionale fenomeno climatico è l’ossessione del protagonista del romanzo, Mauro Barbi (sì, perché il romanzo è una storia umana, di uomini e donne e delle loro vite limitate nel tempo ed eterne nei sentimenti), un ricercatore che sembra aver vissuto intrappolato nel suo mestiere; l’oggetto della ricerca è diventato il focus dell’esistenza relegando sullo sfondo la vita stessa, composta da un passato di momenti vissuti senza capirne il significato e finiti nel rimpianto e un presente mai abbastanza forte da poter essere colto e goduto.

“Esiste il presente”, dice lei. “Esiste solo il presente”.

Nel viaggio che compie, l’ennesimo sul Lago di Costanza, Mauro conduce una ricerca non solo storica, ma personale e introspettiva, attraversa le emozioni e il lascito della memoria, ponendosi la domanda che diventa nucleo fondante del romanzo:

“cosa ricordano, gli altri, di noi?”.

Soprattutto gli altri come ci ricordano?

“forse, semplicemente, dovrei chiamarla paura: di essere ricordato male, o per niente. Come uno scomparso da vivo, uno che non è mai esistito”.

“Altrettanto fastidiosa è però la sensazione che gli altri non si limitino a fraintenderci, ci ricordino male”

Cosa resta in noi delle persone che hanno attraversato la nostra vita e ci hanno attraversato con le loro storie, cosa resta di noi nelle persone che abbiamo incontrato e che abbiamo attraversato con la nostra vita? Le persone colgono la complessità della nostra storia, leggono la continuità della vita o si limitano a fissare dei momenti, i momenti in cui ci hanno attraversato per interpretarci, leggerci e ricordarci attraverso quegli eventi?

Se la vita è fatta di eventi e momenti, un singolo evento, un momento vissuto magari per errore o caso, può identificare chi siamo o è, invece, il percorso che compiamo nel suo insieme a definire la nostra storia?

Come accade per la Storia, anche per la nostra storia vale l’interrogativo se sia evenemenziale o se sia progressiva? La nostra storia è definita da singoli momenti, eventi o va inquadrata, analizzata e valutata nel suo scorrere?

Cos’è andato storto? Quale preciso orizzonte di attesa è stato tradito?

Io ho maturato, per studi e formazione, la consapevolezza che la Storia sia il frutto di una evoluzione continua e progressiva, senza salti, e che il singolo evento abbia ragione di essere in una linea temporale continua. Il nesso di causalità è così stabilito dal generale al particolare e non il contrario. Ma se è vero quello che, nell’incontro per me più toccante del romanzo, sostiene Cardolini, il vecchio professore di Barbi, richiamando Vico: “conosciamo solo ciò che noi stessi facciamo”, le nostre azioni verso gli altri possono essere non comprese perché non conosciute? Dunque, anche se ci sembra di essere chiari nelle nostre azioni, persino quando agiamo senza filtri o maschere, gli altri possono non arrivare alla comprensione di cosa facciamo, come lo facciamo e del cosa ci spinge ad agire.

Il tempo e lo spazio come variabili che condizionano la vita

Eppure, ci sono eventi che verificatisi in un preciso momento e luogo segnano passaggi, svolte, cambiamenti.

È successo per il lago di Costanza che nella piccola glaciazione ha visto cambiare il comportamento della flora e della fauna locale, degli uomini che lo abitavano e lo vivevano. È successo migliaia di volte per battaglie fondamentali, tutta la storia precedente ha portato a Borodino, ma cosa sarebbe successo che Borodino fosse andata in modo diverso? Se Napoleone quel giorno non avesse avuto il raffreddore (come ci ricorda Tolstoj)?

Forse che questo sia da intendersi anche per la nostra storia, se vista nel suo insieme ha una continuum, ma può subire lo shock di eventi non previsti, improvvisi che, anche senza sconvolgerla, lasciano un segno? Si può compiere un’azione apparentemente ‘normale’ (visitare un luogo, leggere un libro, incontrare una persona) e può un tale casuale evento deviare il corso della nostra esistenza?

Romanzo senza umani mi ha riportato alla memoria il modello interpretativo della teoria della relatività ristretta, il cono di luce nei diagrammi spazio-tempo, secondo cui (perdonerete la semplificazione, non sono una fisica, solo una persona curiosa), ogni evento è generato da un cono di eventi passati e dal quale a sua volta si genera un cono di eventi futuri (Modello spazio-tempo di Minkowski). Questo modello applicato alle nostre vite dimostrerebbe l’esistenza un continuum spazio-temporale che genera uno specifico evento, per cui le nostre vite potrebbero essere spiegate sia con il “flusso” del passato che genera eventi (continuità) sia con il singolo evento generato dal flusso che a sua volta diventa la causa di eventi futuri (evenemenzialità).

Resta però il senso dell’evento in sé, la dimensione contingente  e del trascendente di quello che noi viviamo e di come gli altri lo vivono in relazione a noi.

L’esperienza costituita dallo stratificarsi di eventi contribuisce alla costruzione della nostra individualità per cui è possibile affermare che ciascun evento ci condiziona o, quanto meno, lascia un segno?

Dov’è il senso? Lì dove non lo cerchi o hai dimenticato di cercarlo. Dove lo polverizzi in una moltitudine di sensi intermedi.

Il rischio è però che nella quotidianità polverizziamo l’attenzione su eventi irrilevanti che assorbono le nostre energie distogliendoci dalle cose (e dalle persone) che contano. Di questo il protagonista è consapevole nella misura in cui non sa trovare una causa concreta al suo reiterato lasciare andare, senza un motivo preciso, cose che sono fondamentali, l’amore, l’amicizia, la felicità.

Il tempo climatico come variabile esogena che condiziona azioni e pensieri

Paolo Di Paolo fa un passo oltre dando rilevanza non solo al tempo, ma anche allo spazio in cui gli eventi si verificano. Waterloo avrebbe avuto lo stesso esito se non si fosse scelto quel luogo e, dunque, se non si fosse abbattuta sul campo di battaglia una pioggia torrenziale? Nella stretta correlazione tra luogo e tempo, subentra una terza variabile a condizionare la memoria, l’ambiente climatico. Come ricordava Paolo Di Paolo nel corso della prima presentazione del libro, i nostri ricordi sono fortemente ancorati al momento climatico in cui gli eventi avvengono. Noi ricordiamo senza sforzo se durante una passeggiata importante pioveva o c’era il sole; se nostro figlio è nato di primavera o di autunno; se un incontro importante sia avvenuto nel pieno della vampa estiva o del gelo invernale.

Questo tempo climatico condiziona il modo in cui noi abbiamo agito, in cui abbiamo reagito e interagito e, dunque, costituisce un ulteriore elemento fondamentale allo svolgersi degli eventi della nostra vita.

Postulata l’importanza dell’ambiente esterno, anche climatico, come agiamo di fronte alla consapevolezza che, il clima in cui agiamo sta cambiando al punto da trasformare anche lo spazio circostante? Come ci porremo quando il clima cambierà in maniera irreversibile ridefinendo il nostro modello di vita? Siamo pronti a subirne le conseguenze o semplicemente aspetteremo che il cambiamento accada ineluttabile correndo il rischio di soccombere?

Romanzo senza umani, lo avrete capito, ha generato in me tante domande importanti per peso e portata, forse per una mia certa propensione alla complessità, ma è indubbio che la narrazione inviti alla riflessione: su noi stessi, sulla nostra collocazione nel mondo e nell’ambiente circostante, sulla dimensione umana e sociale, naturale e climatica, sul nostro rapporto con gli altri, su cosa resta di noi.

Paolo Di Paolo sembra affermare l’esistenza di una correlazione intrinseca tra il nostro mondo interno e il nostro mondo esterno, che il primo è condizionato dal secondo e che un cambiamento esterno potrebbe radicalmente trasformare il nostro modo di essere nella sua dimensione sia collettiva che individuale.

La sperimentazione linguistica

Che Paolo Di Paolo sia un maestro nel panorama della nostra letteratura corrente nell’uso della lingua è ormai fatto acclarato, che questo romanzo spiazzi anche rispetto ai suoi precedenti è per me fuor di dubbio. In Romanzo senza umani la parola non è solo veicolo e sostanza di contenuti è essa stessa forma artistica. La scelta di una narrazione a tratti sincopata scandisce una narrazione con pause forzate. La struttura del romanzo classico con le interruzioni alla fine dei capitoli è rispettata solo formalmente. L’autore, interrompendo il flusso narrativo, sembra obbligarci alla riflessione, a interrogarci, a indagarci.

Paolo Di Paolo azzarda una sperimentazione linguistica che in alcuni punti assume la forma della poesia e che a me, fervente adoratrice di avanguardie russe e di quel futurismo strutturalista che vide in Majakovskij l’apice, dell’utilizzo della parola come forma d’arte visiva, appare come il coraggio di uno scrittore consapevole che, pur restando saldamente ancorato al classicismo, può permettersi di sperimentare nuove forme.

* Il titolo che ho scelto per questa “riflessione” è ispirato ad uno dei testi più belli del repertorio di Francesco Guccini Canzone delle domande consuete

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