Viva Nicolò Cavallaro, allontanare il dolore con i funambolismi

Coraggiosa operazione editoriale è “Il lama dell’Alabama”, debutto di Nicolò Cavallaro, fuori da tanti canoni degli autori italiani d’oggi. Un’immaginazione strepitosa e una lingua cangiante, con personaggi dai nomi bizzarri e dai destini bislacchi. La scintilla è la sgangherata ricerca di un orologio smarrito, ma a ogni piè sospinto aleggia un ritornello incessante: «mentre Sabrina spira»

Il palermitano Nicolò Cavallaro, scopriamo decisamente fuori tempo massimo, è da quasi vent’anni editor freelance, ha lavorato per case editrici, e in proprio, e in passato ha collaborato anche con Alessandro Piperno, Giuseppe Schillaci (autore del mirabile L’anno delle ceneri, ripubblicato da poco da Nutrimenti) e Paolo Piccirillo. E ha un’originalissima voce letteraria che, passata attraverso la fucina del premio Calvino per esordienti, si è concretizzata in un romanzo originale e intenso, qualcosa di assolutamente fuori standard, rispetto a molti romanzi degli autori italiani di oggi. Per pubblicare qualcosa di così… fuori standard, occorreva il coraggio di una casa editrice speciale, come Hacca, una sigla controcorrente, che rischia, sperimenta, non precludendosi nulla, neanche una collana di assoluta qualità come Novecento.0, che accoglie pesi massimi dimenticati o sottovalutati, da Mario Pomilio a Raffaele Nigro, da Ferdinando Camon a Pasquale Festa Campanile, da Sebastiano Vassalli a Mario La Cava, da Giorgio Manganelli a Franco Fortini.

Un finto giallo, un detective e un aiutante

… una storia come questa, una storia di pretesti – qualcuno protesta – eterei e inconcreti, campati in aria, e allora campando in aria tra ossigeni idrogeni azoti anidridi e sospinti da folate del vento sorvolate un’auto, questa mia, che percorre vie bretelle o esterne tangenziali nella forza motrice di rosse scarpe gazelle su terne pedali.

È per i tipi di Hacca che vede la luce Il lama dell’Alabama (220 pagine, 16 euro), debutto di Nicolò Cavallaro, libro che che fa finta d’essere un giallo, con un detective e un aiutante alle prese con una sgangherata e rocambolesca ricerca – oggetto del contendere un orologio smarrito – ma in realtà è un testo che fa i conti con la morte (o, in modo più ampio, con tutto ciò che si perde), ad aleggiare dalla prima all’ultima pagina, condensata in un ritornello incessante: «mentre Sabrina spira». Un’immaginazione strepitosa e una lingua cangiante e vorticosa sostengono un plot labile e sottile, animato da improbabili personaggi dai nomi bizzarri e dai destini ancora più bislacchi: sfilano, «mentre Sabrina spira», Alice Tuttoburro ed Ettore Calcestruzzo, Marianna Fuma e Ulisse Pulviscolo, mentre Guido, questo il nome del detective, è affiancato da un altro Guido, il suo braccio destro, che egli stesso ribattezzerà Winston Coleman.

La morte che incombe

Amico lettore, amico della ponderatezza, della verosimiglianza, lo so che non ti sto dando niente di ponderato né tanto meno di verosimile…

Il lama dell’Alabama – ambientato principalmente a Roma, nei pressi del parco della Caffarella – è uno di quei romanzi che trabocca di ironia, passione e leggerezza, in cui a contare è, più che quel che si dice o quel che viene raccontato, come si dice e come viene raccontato: ha un andamento giocoso – del resto in esergo i numi tutelari sono Perec e Sterne – in cui il narratore spesso si rivolge al lettore, ha un’ampia gamma di soluzioni linguistiche, si bea di giochi di parole, calembour, nonsense. Incombe la morte, è vero, nel corso dello strampalato cammino che condurrà Guido e Winston sulle tracce dell’orologio smarrito; un semplice espediente che non impedisce al narratore di strattonare qua e là chi legge, di stordirlo piacevolmente, di commuoverlo, farlo scompisciare. Il romanzo di Nicolò Cavallaro è un gioco frenetico e per nulla convenzionale, di trovate brillanti e dall’andamento ondivago. L’occasione per distrarsi dal dolore, per allontanarlo, con una storia fantasiosa e una prosa funambolica. Un libro per cui esultare!

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