Giuseppe Culicchia, tutte le volte che si può morire per amore

Non solo pene d’amor perduto in uno dei più belli libri di Giuseppe Culicchia, “Il libro dell’amore impossibile”. Il riferimento non è solo a una relazione impossibile tra una ragazza e un giovane nella Napoli del Settecento, ma forse anche al sentimento che Dio non riesce a provare davvero per l’umanità. Per raccontare un amore infelice di altri tempi, l’autore riflette – sostenuto da arte, musica e letteratura – sulla fede religiosa…

La finzione è meglio della realtà e c’è una leggenda dura a morire, che adesso è anche un fantastico romanzo scritto da un prolifico e longevo scrittore che raramente viene citato quando si tratta di dare forma a un canone della narrativa italiana degli ultimi decenni. Ma tant’è. Giuseppe Culicchia, alle soglie dei sessant’anni, ha dalla sua una produzione trentennale (è del 1994 il suo debutto, Tutti giù per terra) con pochissime sbavature e tanti picchi, spesso non troppo segnalati sulle gazzette di carta stampata e su altri media più o meno contemporanei. Non indaghiamo oltre, Diciamo che adesso ha scritto uno dei suoi libri più belli in senso assoluto, la «storia tragica di un amore impossibile» con varie «digressioni», personalissime. L’ha affidato alle cura della casa editrice Harper Collins Italia, l’ha intriso di citazioni (da Goethe a Hemingway, a Yourcenar), e l’ha intitolato Il libro dell’amore impossibile (175 pagine, 17,50 euro). Il complice più caro di questo suo volume è stato il giornalista, scrittore e traduttore napoletano Francesco Durante, andato via prematuramente, nel 2019. Attorno alle digressioni, la fede (Gesù è il terzo protagonista, dopo una coppia di innamorati) – che nel caso di Culichiaha a che vedere originariamente con le musiche di un film visto in una sala cinematografica – il ricordo del padre e il rapporto con Napoli, c’è spazio per una straziante love story che qualcuno si ostina a definire leggenda, ma di cui Giuseppe Culicchia s’è innamorato e a cui ha deciso di infondere il soffio della letteratura.

Un matrimonio che non s’ha da fare

Gran parte di questo volume potrebbe trasformarsi in un film in costume, ambientato negli anni Trenta del diciottesimo secolo. Una passione esplosiva, un amore contrastato, ostacolato, un matrimonio che non s’ha da fare. Questo è quello che succede alla giovanissima aristocratica Giulia Spinelli e al compositore Giovanni Battista Draghi, detto il Pergolesi, autore di un notissimo Stabat Mater. Lui ventiquattrenne maestro di musica più che precettore, lei che s’accende di sentimenti, ricambiata, da quando stanno seduti al fianco, al pianoforte. La storia, o leggenda, è nota: a causa dei non nobili natali dell’uomo, la famiglia di lei s’oppone, minaccia, costringendo di fatto la giovane Giulia a una monacazione forzata, a una nuova vita senza vita, a un nuovo nome, suor Tommasa; alla cerimonia di consacrazione, ultimo desiderio, vuole Pergolesi a suonare l’organo in chiesa, non si vedranno più. Per entrambi un destino segnato, la morte di lì a poco, impossibile sopravvivere senza poter più vedere la persona amata. Più di cinque anni fa Giuseppe Culicchia aveva appreso questa storia nel corso di una passeggiata partenopea, in compagnia di Francesco Durante, uno degli ultimi intellettuali italiani.

Dio non muove un dito

Il lettore, per quasi metà del libro però, prima di insinuarsi nell’amore impossibile all’ombra del Vesuvio e di leggere lettere che grondano prima felicità e poi dolore e vuoto, accompagna l’autore in un metaromanzo, fatto dei suoi dubbi, delle sue peregrinazioni da Parigi a Napoli, della sua sofferenza dovuta all’assenza di fede, perfino di un tentativo di storia parallela ambientata ai Quartieri Spagnoli ai giorni d’oggi, in cui Giulia ama i neomelodici e Pergolesi è un cantante di tale risma; finisce per precipitare il lettore (spesso chiamato in causa, spesso disorientato), assieme all’autore, in domande capitali, che sembrano non avere risposte, e in un’altra sofferenza, quella di Pergolesi, paragonabile forse a quella di Gesù in croce. Appellarsi al Cristo, però, sembra inutile.

… dobbiamo concludere che una volta risorto e salito in cielo, Gesù sia diventato nuovamente parte di quell’Uno e Trino insieme con il Padre e lo Spirito Santo. E in quella veste non si possa o non si voglia immischiare direttamente nelle faccende degli umani, o meglio dei mortali. Dio, è risaputo, non muove un dito neppure quando vede i treni diretti ad Auschwitz, Majdanek e Treblinka, le fortezze volanti su Amburgo, Dresda e Berlino, o l’Enola Gay sulla rotta per Hiroshima. Perché dovrebeb comportarsi diversamente con Giulia o con Giovanni?

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