I racconti di Felisberto Hernandez – scrittore amato dai più grandi scrittori – raccolti in “Nessuno accendeva le lampade” regalano un’esperienza di lettura fuori dal comune, con pagine che si insinuano dentro chi le affronta e persone e oggetti che si… scambiano i ruoli. Storie dalla forma realistica, ma la cui sostanza balla fra onirico e grottesco
Non ho voluto più smuovere i ricordi, ho preferito lasciarli dormire, ma loro hanno sognato.
Altrove potrete leggere le più che lusinghiere osservazioni di Cortazar, Garcia Marquez, Calvino, Borges, Vila-Matas, Fuentes su Felisberto Hernandez, uruguayano vissuto tra il 1902 e il 1964, a lungo un irregolare delle lettere, inizialmente più a suo agio con il pianoforte (nei caffé o nei cinema in cui erano proiettati i film muti) che con la macchina da scrivere. Altrove (siti su cui è possibile acquistare libri usati) la prima edizione Einaudi di quello che probabilmente è il suo più famoso libro di racconti, pubblicato in lingua originale nel 1947, viaggia a quotazioni niente male. Ma, per farsi un regalo, basta andare in una libreria e acquistare l’edizione riproposta da La Nuova Frontiera con la traduzione di Francesca Lazzarato, che aveva già visto la luce più di una decina di anni fa: Nessuno accendeva le lampade (155 pagine, 15 euro). Bisogna accendere le lampade su Felisberto Hernandez, i lettori che non lo conoscono abbiano fiducia in queste mie poche parole.
Finali sospesi, assist all’immaginazione
Dalla vita tutt’altro che banale, movimentata quella sentimentale con più di un matrimonio (una delle mogli era anche una spia sovietica). Latinoamericano sì, autori di racconti che attingono al fantastico sì, ma con sviluppi che sconcertano, con dettagli che conducono dentro la coscienza, con un protagonista unico per questi dieci racconti, un pianista (certamente un alter ego dello stesso Felisberto Hernandez) che vaga tra ombre, individui, luoghi tenebrosi. La forma, si badi bene, è realistica, ma la sostanza balla fra onirico e grottesco. E i finali, che magari qualcuno giudicherà deboli, mozzano il pensiero, non concludono volontariamente, epiloghi sospesi che sono un assist all’immaginazione dei lettori, una delle tante cose della sua prosa che lasciano il segno. In moltii, anche in patria, se ne sono accorti tardi, il suo è uno di quei casi da manuale di grandezza riconosciuta solo postuma. Campione di metafore bizzarre, personaggi stralunati oggetti che si animano, ironico, capace di raccontare di una poetessa che s’innamora di un balcone (che si toglie la vita, cioè crolla, per gelosia), e di qualcuno umilia le bottiglie di vino, mettendole a testa in giù.
Musica e silenzio
Più che le storie e ancor più delle figure evocate contano musica e silenzio, anche i gesti e il buio. Leggere per credere Felisberto Hernandez – letterato autodidatta, genio ondivago e irregolare, indolente, fuori da movimenti e consorterie – regala un’esperienza di lettura fuori dal comune, un senso di indeterminatezza, un perenne spaesamento dinanzi a pagine su pagine stravaganti (pur nel velato autobiografismo) che trascinano in una sorta di altra dimensione, come se avessero una vita indipendente al di là di chi li ha scritti, scambiandosi in qualche modo i ruoli, come fanno persone e oggetti in Nessuno accendeva le lampade. Cinico, imprevedibile, eppure romantico: si legga uno dei “pezzi” più belli di questa sua partitura, Tranne Giulia. Fra le sue pagine più riuscite, si insinuano dentro chi le affronta.