Ne “Il Tao delle macchine”, che raccoglie alcune storie brevi di importanti narratori cinesi di science fiction, si guarda al futuro delle frontiere della tecnologia, fino all’orlo del precipizio del dubbio. Tra uomini che sembrano androidi e viceversa, e l’intelligenza artificiale che s’insinua… Prende il via con questo articolo la rubrica “Le porte di Tannhäuser” (il logo è dell’illustratore Salvatore Garufi), dedicata al genere letterario della fantascienza. Non perdetela di vista…
È stata la notizia dei giorni scorsi per gli appassionati di tecnologia: si è corsa a Pechino la prima mezza maratona di robot umanoidi e, giusto per fornire una narrazione con annesso scenario cinematografico, l’evento è stato partecipato anche da atleti umani su un percorso parallelo per ragioni di sicurezza. Non sono i robottini rudimentali e radiocomandati della mia infanzia che si sfidavano nell’arena di Robot Wars, lo show televisivo britannico degli anni Novanta, poi arrivato in Italia col commento di Guido Bagatta e in seguito di Andrea Lucchetta e Ugo Francica Nava. Non sono nemmeno gli androidi di Dick, quasi indistinguibili dagli umani. I corridori artificiali di Pechino hanno protesi come braccia e gambe, una pettorina col numero, ogni tanto sbagliano direzione, ma non conta: sono le avanguardie di una Cina che vuole dimostrare al mondo di essere in prima linea sul fronte della robotica e dell’intelligenza artificiale.
I dubbi e le perplessità – ma anche le suggestioni più impensabili – su questa “corsa androide”, e quindi più in generale sull’impatto ormai inevitabile sulle nostre vite di esseri artificiali in grado di alimentarsi di informazioni e di generare scenari, di muoversi e di avere memorie, si rintracciano nella raccolta Il Tao delle macchine (AAVV, 176 pagine, 18 euro), un’antologia di racconti di fantascienza contemporanea cinese, che suggerisce traiettorie imprevedibili già nel titolo che accosta uno principali concetti della religione taoista al mondo robotico. Il volume, pubblicato dalla Luiss university press, presenta molti autori che in Italia abbiamo apprezzato negli ultimi anni per romanzi e racconti tra cui citiamo Chen Qiufan, che è il curatore dell’antologia, ma poi ci sono anche Gu Shi, Mu Ming e Han Song, tra gli altri. A memoria credo sia la seconda raccolta di racconti di fantascienza cinese pubblicata in Italia, la prima risale al 2017 ed è Nebula nella collana Future Fiction curata da Francesco Verso. Della scuola cinese – giusto per comprendere ormai la dimensione internazionale di questa produzione – fa parte anche una superstar come Liu Cixin (Il problema dei tre corpi da cui anche la serie Netflix).
Sparigliare la realtà
Nel Tao delle macchine (traduzione e adattamento di Désirée Marianini e Patrizia Liberati) la fantascienza fa il suo consueto lavoro, rispettando quella sua universale peculiarità, in un Paese peraltro noto per il suo capillare sistema di controllo dell’informazione e della critica (anche e soprattutto sulla rete), di infiltrarsi tra le maglie della grande muraglia virtuale e di sparigliare le carte della realtà, fornendo una percezione decisamente più complessa e articolata delle prospettive delle nuove frontiere della tecnologia, spingendosi, racconto dopo racconto, domanda dopo domanda, sull’orlo del precipizio del dubbio. Da sempre la sf spegne, o perlomeno offusca, i lustri del progresso tecnologico: ricordiamoci, insomma, che di futuri ce n’è tanti e decisamente spesso non sono buoni, giusto per parafrasare il titolo di un bellissimo libro di Daniele Barbieri e Riccardo Macini.
La convivenza tra umano e artificiale
Gli autori ci conducono, con un ritmo che sembra ben congegnato nella scelta e nella collocazione dei racconti, nell’analisi di aspetti tecnici e sociologici relativi alla convivenza e alla combinazione tra umano e artificiale fino a spingersi sulle più alte vette della riflessione metafisica: può un androide diventare Buddha (Buddhità di Han Song)? Un’antologia, pertanto, che trova la sua ragion d’essere in questa esplorazione progressiva di un mondo destinato a veder assottigliare fino a sfumare la differenza tra essere umano e macchina e sin qui un fantascientista avveduto direbbe: dove stanno le novità? Le novità si rintracciano nella molteplicità degli androidi che sembrano umani ma anche degli umani che sembrano androidi, ma anche di ibridi che non si capisce più fino anche punto siano umani, di AI, di memorie trasferite e falsate, di realtà virtuali. Territori di confine in cui si aprono spazi generativi di realtà dettati dall’AI, cullati dagli echi del bellissimo e brevissimo racconto degli anni di ’50 di Fredric Brown con gli scienziati che pongono al supercomputer appena creato la fatidica domanda sull’esistenza di Dio e lui risponde: “Ora c’è”. Solo che la generatività di Come il mondo di Chi Hui, uno dei racconti dell’antologia, forse il più inquietante della serie, è costruita su visioni irreali che la rendono, in mano agli esseri umani, una perfetta arma da guerra in grado di mascherare gli attacchi militari sotto forma di porzioni di irrealtà che ingannano il nemico proprio per la non riconoscibilità dell’aggressione: se ti ritrovi un elefante in volo non pensi che in realtà sia una bomba. In questo manuale del futuro dai contenuti variegati – c’è anche spazio per l’amore o per qualcosa di simile in L’inverno di un satellite incompiuto di An Hao o per scenari alla Black Mirror come La milizia degli osservatori di Chen Qiufan – segnalo anche una distopia che plana sulla nostra realtà e fa sorridere per quanto potrebbe diventare rapidamente vera, cioè un mondo in cui non si possono odiare i gatti: Perché non mi piacciono i gatti di Su Min.
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