A lezione di Iki, la quintessenza della seduzione

Torna in libreria “La struttura dell’iki” di Kuki Shūzō, filosofo e dandy giapponese che… spalanca un mondo. L’iki va inteso come “essenza, automanifestazione del modo di essere della cultura orientale”: un’esperienza da assaporare più che da descrivere. Non un concetto astratto, perché l’autore ne passa in rassegna le espressioni oggettive, naturali e artistiche…

Una geisha intenta “al trucco delle sopracciglia” (titolo dell’opera di Itō Shinsui riprodotta) si affaccia dalla copertina del volumetto che leggo sotto l’ombrellone. Io che, assorta, trascuro le relazioni sociali per un paio di giorni. Un combinato disposto che ha destato l’attenzione della mia amica e vicina di sdraio, la quale, dopo avermi estorto qualche dettaglio in più, lasciandomi alle pagine, mi ha esortato a scriverne velocemente, desiderosa di appagare la sua curiosità.

Nel raccontare un libro è importante non perdere di vista lo scopo che ci si prefigge. Nel caso in cui non sia di stroncare, l’obiettivo sarà di offrire un consiglio di lettura che intenda propiziare l’incontro tra uno scrittore e un lettore affini per interessi e gusto, affinché il primo non sia incompreso e il secondo non resti deluso. Regola aurea è indicare, in via preliminare, la forma del testo, il genere e l’argomento. Risulta di grande utilità, infatti, segnalare se si tratti di un saggio, di un romanzo o di una raccolta di racconti, far cenno, quindi, all’argomento dominante, e nel caso del romanzo, infine, menzionare il genere cui è ascrivibile.

I destinatari? Li trascurerò

In base a tali variabili potremmo già tracciare un attendibile identikit dei destinatari elettivi de La struttura dell’Iki (180 pagine, 12 euro) di Kuki Shūzō, ripubblicato recentemente da Adelphi edizioni, a cura di Giovanna Baccini. Fruitori ideali sono gli amanti dei saggi, coloro che vantano solide basi di filosofia – in particolare, studiosi di Heidegger –, gli esperti e/o estimatori dalla cultura giapponese.

Mi scuseranno costoro se, tuttavia, li trascurerò, concedendomi uno strappo alla regola. Poiché intendo tener fede alla promessa fatta alla mia amica e considererò lei come mia diretta interlocutrice. Il proponimento è, in buona sostanza, di mediare tra lei – che pure è una lettrice colta e preparatissima su molte materie e argomenti – e un testo che in libreria, probabilmente, non si imporrebbe alla sua attenzione.

L’attrattiva di un saggio pregno di tecnicismi come questo, per i soggetti a digiuno non solo della materia che ne è oggetto, bensì anche del linguaggio ad essa attinente, risiede spesso nella eventualità di trarne perle di sapere, aneddoti e minuzie che vanno ad arricchire il randomico bagaglio di conoscenze definito “cultura generale”. Più che soffermarmi sui dettagli specialistici da iniziati, perciò, ne lambirò il contenuto con la vaporosità un po’ naif del neofita, prediligendo le spigolature spendibili in situazioni di socialità.

Il volumetto contempla, oltre al testo di Kuki Shūzō, una premessa e un regesto, curati da Giovanna Baccini, entrambi ricchi di informazioni.

“Una grazia inflessibile”, così si intitola la premessa, riassume la vita dell’autore. Filtrata dalla voce di Giovanna Baccini, che ha scelto per la sua narrazione un tono a tratti poetico, in un certo qual modo armonico all’estetica nipponica dell’immaginario comune, la vicenda umana, avventurosa e anticonformista, di Kuki Shūzō – poeta, filosofo e dandy, vissuto a lungo in Europa, dove fu amico, tra gli altri, di Bergson e Heidegger – diventa essa stessa un piacevole capitoletto di ottima narrativa.

Quanto al regesto, a lanciare lo sguardo e la fantasia oltre la rigidità dell’ordine cronologico delle parole che ingloba, è sicuramente un prezioso ausilio, una porta d’accesso, alla cultura del Sol Levante. Un repertorio minimo di nozioni storiche, geografiche, di usi e costumi, che dissipa qualche dubbio e soddisfa molte curiosità.

L’essenziale e l’utile

La struttura dell’iki vero e proprio si compone, invece, di sette capitoli: premessa, introduzione, struttura intensiva dell’iki, struttura estensiva dell’iki, espressione naturale dell’iki, espressione artistica dell’iki e conclusione. Sempre con l’attitudine dichiarata dello “sgraffignatore di sapere”, mi addentro nel cuore del libro cercando di trarne l’essenziale e l’utile. Difficile, nonché pericoloso, ripercorrere pedissequamente le singole tappe del cammino compiuto dall’autore. Esso è, infatti, disseminato di concetti filosofici che pretendono e meritano un rigore che io invece non posso francamente esigere dai miei, ormai molto evanescenti, ricordi scolastici.

Provo a sintetizzare: Iki è la pronuncia giapponese dell’ideogramma cinese 粹 sui, che in un certo momento storico indicò la “capacità di destreggiarsi emotivamente in situazioni di tensione, la capacità di coniugare spontaneità e artificio raggiungendo un grado di raffinatezza supremo sia sul piano etico che estetico”. Kuki Shūzō assume, dal canto suo, che il termine sia da utilizzare nell’accezione di “essenza”. Diventa allora “l’automanifestazione del modo di essere specifico della cultura orientale”.

In questa prospettiva Iki è, dunque, uno di quei termini etnici che non trovano corrispondenza in altre lingue occidentali, e che per tale peculiarità vantano un valore metafisico in quando espressioni del mondo noumenico. Dall’impossibilità di essere tradotto, poiché si tratta di un’esperienza da assaporare più che da descrivere, nasce l’istanza dell’autore a scandagliare i tre attributi di cui si costituisce a livello concettuale. Solo dopo averne chiarito l’exentia, infatti, si potrà coglierlo senza equivoci nella sua existentia, ovvero nella forma vivente con la quale si presenta e si esperienza.

Seduzione, energia spirituale, sprezzatura

Seduzione, energia spirituale, sprezzatura sono i tre attributi oggetto del focus. Attraverso essi si arriva ad un’attendibile definizione dell’Iki che Heidegger intese come sinonimo di “grazia”: quintessenza della seduzione intesa come attrattiva erotica sperimentata da un’anima disponibile al mutamento e capace di praticare la rinuncia, poiché affrancata dalla instabilità e spietatezza della realtà, ma non il disincanto.

Complesso? Abbastanza.

La riscossa, per noi profani, arriva, da altre sezioni del libro. Ad esempio quella in cui l’autore propone l’exucus sull’etimologia della parola chic, la più idonea – tra le occidentali – a sobbarcarsi il peso della traduzione. Scommetto sullo stupore della mia amica, tedesca madrelingua – avevo omesso di specificarlo – nello scoprire che il più probabile antenato del vocabolo francese sia addirittura il teutonico geschickt, “abile in ogni cosa”, evolutosi fino ad assumere, per estensione, nell’ambito del gusto l’accezione di elegante, con la quale è in uso ovunque oggi.

L’inventario dell’iki

L’interesse tocca l’apice nelle pagine dove Shūzō passa in rassegna le espressioni oggettive, sia naturali che artistiche dell’iki. Un vero e proprio inventario di cosa sia iki e cosa no, che potrebbe tornare utile nel quotidiano come prontuario minimo del buon gusto. Scopriamo, ad esempio, che la voce da mezzosoprano con una cadenza tale da stimolare in un certo modo l’udito, è iki. Lo è reclinare il capo alla maniera discreta, poco provocante delle geishe. Truccarsi utilizzando solo alcune nuances. Sono iki, tra le figure geometriche, le strisce. Lineari e inflessibili rappresentano infatti, la visualizzazione perfetta dei tre attributi indicati innanzi, realizzando il dualismo della seduzione prolungata all’infinito nell’impossibilità dell’incontro. Ci sono perfino i colori iki. Il grigio, marrone e blu, grazie alla specifica luminosità e al calo di saturazione che è loro tipico, esprimono anch’essi una seduzione che conosce la rinuncia e la sensualità capace di sprezzatura.

In campo delle arti, l’iki irrompe nell’architettura, imponendo schemi precisi agli spazi abitativi e l’ utilizzo di materie prime quali il legno e il bambù. Nella musica, estrinsecandosi in determinate melodie e ritmi tipici.

Insomma Shūzō ci spalanca tutto un mondo, ricco di fascino e possibilità.

Grazie dunque ad Adelphi per aver riproposto il saggio.

Se iki è “vivere nel futuro stringendo in sé il passato, restare immacolati pur tingendosi di colore”, fate in modo che la vostra estate sia la più iki di sempre!

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