I “sette libri per l’estate” di… Annalisa De Simone

Da L’Aquila alle Antille, da Israele agli Usa, fino all’Inghilterra del diciannovesimo secolo. Sono le coordinate spazio-temporali dei consigli di lettura di Annalisa De Simone, autrice del recente“Sempre soli con qualcuno” (ne abbiamo scritto qui). Una lista di libri che irrobustisce una rubrica amata dai nostri lettori

Scegliere sette libri da consigliare fra i tanti a cui sono legata è più difficile di quanto immaginassi, resiste come senso di un’incompiutezza. Tant’è. Ecco i primi a cui ho pensato.

“Dopo l’abbandono” di Zeruya Shalev (Feltrinelli)

È una storia sulla disgregazione: un matrimonio finito, il rapporto complicato con la famiglia d’origine, soprattutto un figlio che fatica ad adattarsi alle nuove dinamiche di vita che gli vengono imposte. Ma non si tratta del cosa, l’aspetto tematico del romanzo, quanto del come. La voce della protagonista accoglie la turbolenza di questa fase di transizione, dolorosa e imprevista, con squarci di inaspettata forza, e di audacia, con un’andatura densa di pensieri e di paure, d’indecisioni, attraverso una musicalità che restituisce l’oscillazione fra il buio e la luce che ognuno di noi prova se immerso nella catastrofe. È una voce che diventa misura esatta dell’intimità. È una voce che cattura.

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“L’adultera” di Laudomia Bonanni (Elliot)

Al centro di questo romanzo c’è, ancora una volta, una donna. E un paesaggio psicologico segnato dalle umane ambiguità, ma anche da una sorprendente consapevolezza di sé. Il lessico di Bonanni è costruito sulla precisione di chi sfoltisce e apre a una narrazione pulita, penetrante proprio in virtù della sua continenza. Un lungo viaggio al volgere del giorno è un momento ideale per mettersi comodi e scoprire quali sono i danni della nostra protagonista, il suo passato, la sua storia. La notte è il regno dell’ignoto ma anche dell’amore ed è nell’interstizio fra queste due dimensioni che prende corpo la storia.

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“L’animale morente” di Philip Roth (Einaudi)

Nella lista, non poteva mancare uno dei suoi romanzi. Ho scelto forse il più scarno. Ma, al solito, magistralmente fitto. Nella descrizione del libro si legge: “Cosa fa l’Animale morente prima dell’ultimo respiro? Esprime l’ultimo desiderio. E l’ultimo desiderio del professore erotomane David Kepesh, è il sesso”. Eppure non sono affatto convinta che David Kepesh sia un erotomane. Più che un impulso morboso e ossessivo che lo spinge verso il sesso, e le sue fantasie, ho sempre intravisto fra le righe del lungo monologo che dà corpo al romanzo, un magnifico e struggente e per nulla patologico impulso di vita contro l’asfissia delle regole, la loro stupidaggine, contro la vecchiaia, contro la morte. Non serve scrivere altro: è un romanzo di Philip Roth. Tutto il resto è pleonasmo.

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“Diario dello smarrimento” di Andrea Di Consoli (Inschibboleth)

È un collage di frammenti, la rinuncia a un piano narrativo, un diario intimo che mette insieme tutta la solitudine, e i drammi e gli strappi di inattesa felicità nella vita dello scrittore lucano. Tengo questo libro sul comodino e leggo e rileggo alcuni stralci prima di prendere sonno. Non mi sembra sia importante il bilancio umano che alla fine viene fuori per rendere questa storia tanto sottile una storia universale, quanto la densità di alcuni passaggi folgoranti, e anche l’amarezza (ma di quel tipo che illumina, invece di gravare…)

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“Persuasione” di Jane Austen

 L’ultimo romanzo di Jane Austen è, a differenza degli altri, abitato da una tristezza autunnale. C’è una protagonista più grande rispetto le altre – ventisei anni: nel mondo narrativo della scrittrice inglese, praticamente un’attempata. C’è, al solito, un amore ostacolato dalla violenza di una società ottusa, punitiva e maschilista. C’è, chiaramente, un lieto fine. Sappiamo che i nostri eroi convoleranno a nozze fin dal momento in cui posiamo gli occhi sulla prima pagina e però, capitolo dopo capitolo, la tensione non smette mai di vibrare e quella malinconia d’autunno pur non stemperando si riesce (magia della letteratura) a scaldarci in un sollievo.

 Jane Austen

“Lucy” di Jamaica Kincaid (Adelphi)

 Lucy viene da un’isola delle Antille e, per sottrarsi alla propria famiglia, a sua madre, sbarca su un’altra isola, Manhattan, dove comincia a lavorare come ragazza au pair. Si renderà conto che ogni famiglia è infelice a modo suo con la tenerezza dei bambini, di cui conserva anche la sorprendente ferocia. È un percorso di conoscenza interiore lento, inesorabile e ardente di tutto ciò che da sempre ci riguarda. Pure la meraviglia e, infine, la commozione. Sfido chiunque a non avere gli occhi lucidi dopo l’ultima pagina.

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“Nei mari estremi” di Lalla Romano (Einaudi)

Mari estremi, o mali estremi: territori che per ognuno si declinano in infiniti modi ed esperienze. La perdita, il lutto, sono mari estremi. E tuttavia la scrittura di Romano sa alleggerire anche la morte, attraverso questa sua cifra che tende alla trasparenza e alla rarefazione. Lo spazio bianco, un’ellissi, può contare in un romanzo più di tante parole. Scoprire la scrittura di Romano significa mettersi a disposizione di una musicalità nuova, un ritmo inequivocabile, per sempre suo, che si riempie di significato proprio in quei vuoti, dentro le pause.

romano

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