Tre istantanee di Moravia, attuali ancora oggi

Indifferente, disubbidiente o conformista. A trent’anni dalla scomparsa, tre volti di Alberto Moravia – in altrettanti suoi libri – per comprendere cosa possiamo essere o scegliere di diventare, seguendo o meno ciò che viene definito “normalità” dalla società

Gli indifferenti, Il conformista, La disubbidienza: tra le tante opere di Alberto Moravia, che in circa sessant’anni di attività ha dato alle stampe diciassette romanzi (e numerosi racconti), potremmo tentare di unire questi tre titoli (nel catalogo Bompiani, come gli altri) con un unico filo.

Perché ciascuno ci offre una riflessione su cosa possiamo essere – o scegliere di diventare – seguendo o meno ciò che viene definito “normalità” dalla società; accettando o meno la nostra unicità; alimentando o meno la ribellione; rassegnandoci o meno ad un’apatica accettazione.

Non solo: tutti e tre i romanzi sono una metafora di come può agire un uomo quando si ritrova sotto un regime.

Famiglia e società

Essere indifferenti, conformisti o disubbidienti, nei confronti del nostro contesto sociale o nei confronti di un regime imposto, è una scelta del tutto personale. Che ci si trovi in un gruppo di compagni di classe, tra genitori che ci soffocano o in una famiglia in cui madre e figlia condividono lo stesso amante, poco cambia.
Moravia ci offre delle istantanee che spiazzano – ancora oggi – per la loro attualità.

E ce le offre a partire dal primo romanzo che lo portò – giovanissimo – alla ribalta: Gli indifferenti.

Moravia ci mostra un’intera famiglia che si lascia trascinare passivamente dall’amore e dall’odio per un personaggio che ne regge le redini: Leo.

Le vicende si muovono intorno alla rabbia repressa di Michele, il protagonista – ignavo. Sua madre ha perso il suo amante – Leo, appunto – perché questo si è invaghito della figlia di lei. Michele scopre la relazione tra la sorella e l’ormai ex amante della madre. E cosa fa? Nulla. Perché in fondo il suo odio per Leo non è poi così reale. O meglio: non è così forte da spingerlo a reazioni concrete.

Michele, come tutti i personaggi che gli ruotano intorno, è indifferente a tutto.

Anche all’odio, ai soprusi, agli inganni cuciti intorno alla sua famiglia.
Non si può di certo ignorare il momento storico in cui Gli indifferenti venne ideato e pubblicato: pieno fascismo.
Un fascismo che – parafrasando la metafora che si cela ne “Gli indifferenti” – pare non avere reali contestatori, forze concrete di opposizione. Sembra, insomma, di ritrovarsi in una società – così come in una famiglia – indifferente a tutto ciò che accade.

Ma attenzione: qui siamo davanti ad un’accettazione apatica, dettata in gran parte anche dalla noia (La noia è altro testo fondamentale dell’opera di Moravia, ma di questo potremmo parlarne successivamente). C’è un’accettazione che non va confusa con il conformismo, cosa che ritroveremo nel terzo romanzo qui analizzato.

Contro i genitori

Ma prima di passare all’uomo che si conforma e che fatica per avere accettazione sociale, dobbiamo passare per le vicende di Luca che, ne La disubbidienza, sceglie di opporsi al volere dei genitori.

Il libro si apre con un viaggio in treno e con la negazione di una sua semplice richiesta da lui avanzata ai genitori. Da lì scatta in Luca la voglia di ribellione. Si comincia, per esempio, con il disfarsi dei libri che lo hanno cresciuto e formato.

«Quegli oggetti, quei denari non erano soltanto oggetti e denari ma vivi e tenaci fili di una trama di cui era intessuta la sua esistenza. Ma appunto per questo voleva strappare questi fili; che erano anche un segno di ubbidienza del destino che gli era stato imposto senza consultarlo, al mondo contro il quale aveva tentato sinora, più volte e sempre invano, di ribellarsi».

Dalla vendita di tutti i suoi libri, si passa al rifiuto totale del cibo.

In questo libro appare anche un’altra tematica centrale nell’opera di Moravia e che è cardine del romanzo Agostino: l’iniziazione sessuale e il confronto carnale con l’altro sesso.

Sarà proprio il primo rapporto di Luca a ricreare un equilibrio con il suo contesto, in cui aveva ricercato attenzioni e identità che non sarebbero stati possibili senza passare per gli atti di disubbidienza – come il lasciarsi deperire.

Pubblicato nel 1948, La disubbidienza potrebbe anche essere una metafora di quella piccola parte di società che ha cercato di opporsi al regime. Era una parte debole, poco armata, ma tenace. Ma c’era, esisteva. Proprio come l’adolescente Luca.

Confondersi fra la gente

Ed eccoci, quindi, a un’altra strada che si sceglie di intraprendere pur di essere accettati, integrati, per trovare il proprio posto nel mondo e anche per nascondere anche le proprie inclinazioni etichettate come “anormali” in una società che vive seguendo rigidi canoni. Obiettivo finale: confondersi tra la gente.

Ne “Il Conformista” – 1951 – troviamo Marcello, un ragazzino che sente di essere diverso dai suoi compagni ma non si rassegna a questa sua diversità.

È disposto a tutto pur di farsi accettare, al punto da riporre piena fiducia in un uomo che tenterà di approfittare di lui.

Cresce con la convinzione di averlo ucciso per errore. Cresce reprimendo la sua vera identità e la sua grande colpa.

In età matura, sotto le macerie della Seconda guerra mondiale, dopo aver tanto faticato per creare un’esistenza dalla parvenza perfetta, comprenderà quanto sia stato vano rinunciare a essere chi si é veramente.

Sullo sfondo, il fascismo ormai in decadenza, sconfitto.

Agire

Michele, Luca, Marcello: dei tre, l’unico che sembra poter avere un futuro è Luca.

E forse non è un caso che Moravia abbia scelto, tra i suoi personaggi alla ricerca di un posto nel mondo, il disubbidiente.

Perché: «Luca pensò che era bello agire, sia pure per distruggere la propria vita; e che agire era proprio questo; compiere atti secondo idee e non per necessità.

E non è per niente un caso se uno dei personaggi cardine de La ciociara si chiamerà Michele: nel 1957 Moravia redimerà l’indifferenza del suo primo Michele con un omonimo personaggio che si spingerà a un sacrificio estremo

Ma questa è un’altra storia.

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