Bufalino 100. Museo nel nome del padre

“Museo d’ombre” di Gesualdo Bufalino è un inno al paese natio, a un’identità collettiva da fissare con inchiostro contro degrado e agonia, a mappe spaziali e temporali da illustrare con memoria malinconica, con amore e disincanto. E una specie di ribellione alla scomparsa del genitore…

In tante sue opere decadentemente funeree corteggia la morte, ma in una delle sue prime prova a ribellarsi a essa. La morte ha accompagnato la vita e la scrittura di Gesualdo Bufalino, è piuttosto noto. Dalla Diceria agli aforismi, dalle poesie giovanili agli elzeviri, alla maggior parte dei suoi libri, l’attesa della morte è una chiave di volta per Bufalino, un punto d’onore. La attende assieme ai suoi personaggi, talvolta proiezione di sé, in un albergo romano, in un sanatorio palermitano, in un carcere borbonico,

La morte ingiusta

Nel magistrale Museo d’ombre (112 pagine, 6,20 euro), prima sua sicilianeria – pubblicata da Sellerio, a ridosso dell’opera che lo rivelò e gli permise di vincere il premio Campiello, e poi ampliata per Bompiani, anche con le foto di Giuseppe Leone – che si apre con la dedica al padre Biagio e si chiude con un breve ritratto del genitore, l’autore punta il dito contro il finale di partita che attende tutti noi. La fine del padre figlia «di un male turpe», che lascia «la mente stupenda», ma «disfa e strazia e disonora le membra», «sporca nella memoria dei superstiti centomila immagini di forza, di dolcezza, di sapienza, a pro’ di un solo incancellabile fotogramma di raccapriccio. Non è giusto».

Comiso, Itaca mai lasciata

Quella di Biagio Bufalino è la prima di tante amate e immortalate ombre, mestieri artigianali in via d’estinzione e scomparsi, luoghi di una volta, personaggi pittoreschi e leggendari, schizzati in ritratti efficaci e pregni, gonfi di belle parole e di sentimenti. C’è tutta Comiso, tra i monti Iblei e il mare, in queste pagine, l’Itaca che – moltissimi i viaggi della mente e letterari – Bufalino non ha mai voluto lasciare, anzi «La mia stupida Itaca da cui non sono partito». C’è un passato remoto da portare nel cuore e nella mente, un’identità collettiva da fissare con inchiostro contro degrado e agonia, mappe spaziali e temporali da illustrare con memoria malinconica, con amore e disincanto.

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