Carmela Scotti e quei rimorsi di una madre a tutti i costi…

“La pazienza del sasso” dell’originale e appartata Carmela Scotti è un romanzo sull’amore-odio fra due sorelle, sulle sofferenze inflitte da una all’altra, su un complesso e diabolico approdo alla maternità, sul male come forma d’amore. Tra sensi di colpa e ricerca del perdono, una storia che intreccia un presente on the road e un passato carico di sofferenze…

Un romanzo di addii, fughe e partenze, un’intreccio di ossessioni, di amore che sembra odio e viceversa. La siciliana Carmela Scotti torna in libreria, per la terza volta con la casa editrice Garzanti, con un’altra intensa eroina femminile, dal nome improponibile (Argia, e non è da meno quello della sorella, Dervia), ma dalla psicologia affascinante – e sviscerata in modo meticoloso – e dall’innegabile spessore. Una donna che dice a se stessa:

Forse per tutta la vita non ho fatto che cercare persone che non tenessero a me, per confermare a me stessa che non meritavo di essere amata.

Un viaggio e memorie dure da ingoiare

L’avvio del libro sta in una scatoletta di legno che contiene le ceneri della sorella Dervia, e nella volontà di Argia di riportarle in Sicilia, dove tutto, in particolare le vite delle due sorelle Delveri, ha avuto inizio. Due sorelle opposte, rivali per molti versi, accomunate solo dalle sofferenze («il destino ci aveva tolto tutto, tetti, pavimenti, madre, padre, ricordi»): Argia, labbra sottili, ossa grosse, scalzata («Sono morta il giorno in cui è nata mia sorella») nelle preferenze materne dall’arrivo di Dervia, bella e aggraziata, dalla pelle ambrata, vittima di attacchi epilettici, forse in contatto con l’aldilà, che vede fantasmi, in particolare quello di una bimba che la perseguita. La pazienza del sasso (231 pagine, 16,90 euro) di Carmela Scotti, con una lingua ricercata e mai banale, alterna due piani temporali, il presente di un viaggio – una donna, un bambino e un becchino raggiungono in auto la Sicilia, partendo dalla Brianza – e il passato di memorie familiari, quasi tutte durissime da ingoiare per due sorelle, la morte precoce della madre (a cui un incidente domestico ha sottratto il destino da pianista e una vita di concerti), probabilmente per abuso di farmaci, l’allontanamento volontario del padre, un breve ma pessimo soggiorno dalla nonna materna, che vive in compagnia del suo «Dio da Vecchio Testamento», l’abbandono della Sicilia, in particolare quella ferita dal terremoto del Belice, e una nuova vita in Lombardia.

Autrice appartata, senza ombelicali autofiction

Messinese, vissuta a Palermo (dove si è diplomata all’accademia delle Belle Arti, città che torna sempre nei suoi romanzi), trapiantata in Brianza, appassionata di letteratura statunitense, Carmela Scotti è piuttosto appartata. Non firma petizioni, non va in tv, non frequenta cricche e salotti letterari, sui social non fa sfracelli, su Instagram è approdata da pochissimo. Ogni tanto torna in libreria con storie che non assomigliano a quelle che vanno di moda, niente ombelicali autofiction. Finalista al premio Calvino 2014 con L’imperfetta, l’ha pubblicato un paio di anni dopo con Garzanti, convincendo critici e lettori con una prosa contaminata dalla poesia, e una vicenda picaresca, dalle atmosfere nere, ambientata in Sicilia alla fine del XIX secolo, il viaggio di iniziazione di una giovane donna, Catena Dolce, dopo la morte del padre. Una prova molto convincente come la successiva, Chiedi al cielo, plot contemporaneo, Palermo a prendersi la scena, una figura femminile molto forte, Anna, che non si rassegna alla scomparsa del figlio, Luca, un vortice narrativo dall’impianto solido, dallo stile asciutto e controllato, che si fa strada fra infanzie violate, silenzi, menzogne e solitudini.

Maternità a tutti i costi

La nuova avventura narrativa di Carmela Scotti sboccia nella lunga ricerca di espiazione e perdono. Li cerca Argia che coinvolge nel suo ritorno in Sicilia (nell’immaginaria Musolino, dilaniata dal sisma del 1968) il figlio Lucio e Nicola, impresario funebre, già compagno di classe di Argia. Segnata a più riprese dalla vita, la protagonista e voce narrante, che trova nell’insegnamento la propria dimensione lavorativa, è martellata in particolare da una domanda («Come potevo pretendere di essere una madre se non mi è mai stato concesso di essere una figlia?») ed è decisa «ad aspirare a una dolcezza che avevo perso troppo presto», «a diventare l’unica vera madre della famiglia, a tirare a lucido il concetto di maternità e appuntarmelo al petto come una medaglia». Una maternità da ottenere a tutti i costi, nel modo «peggiore di tutti».

Il male, una forma d’amore?

Strazianti ammissioni emergono pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo (ognuno breve, secco, pregnante). Il disegno, che oltre la metà del romanzo è nitido, è un piano diabolico, covato nel ventre di un matrimonio infelice, che appare felice solo agli occhi di svagati assistenti sociali, gli stessi che condannano la vera madre di Lucio. Argia finisce per impersonare il «Dio cattivo che divide le acque, che decide della vita e della morte, dell’odio e dell’amore».

Esiste il male che si fa con coltelli, pistole, lotte frenetiche corpo a corpo, e poi c’è il male che si compie senza alzare un dito…

Solo in ritardo, quando non è più possibile tornare indietro, Argia si renderà conto del dolore che ha inflitto, del male che ha seminato, della sofferenza che ha fatto patire. Forse forme d’amore, a loro modo forme d’amore. Meritare il perdono, soprattutto il suo, questa donna col cuore incendiato dai sensi di colpa? Per scoprirlo i lettori dovranno arrivare fino in fondo e non sarà certo un supplizio, ma solo un piacere. Carmela Scotti è abile nell’avvolgere chi legge con la sua prosa, nel non cercare pietà ma pietas per la sua antieroina. Fatevi un regalo e scoprite questa scrittrice, anche a partire da questo romanzo. Vi troverete a cercare anche i precedenti.

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