A lunga conservazione. Caccia all’untore nella Peste di Camus

Una peste allegorica, quella raccontata dal Nobel Albert Camus? Non c’è traccia di un untore, o forse sì. Un paio di anagrammi e altri segnali, la narrazione e il suo lessico, portano su una strada precisa… Sarebbe la conferma di quanto aveva assicurato lo stesso Camus: «È questa l’opera più anticristiana che abbia scritto»

Nella Peste di Camus non appare un untore, o sospettato tale; e questa è anche l’opinione diffusa: che cioè l’untore non esista.

A Orano (Algeria), in un anno imprecisato del decennio 1940, si diffonde rapidamente l’inarrestabile flagello della peste. Un medico organizza una resistenza sanitaria, con divieti drastici, regole igieniche, isolamento totale e infine stato d’assedio.

Dopo alcuni mesi un vaccino risulterà efficace, ma molte tragedie sono avvenute: fisiche, psichiche e morali. Le squadre sanitarie, hanno avuto successo; però il male che pur scompare può ritornare, perché non è mai esaurito.

La cronaca della peste è apparsa, nelle interpretazioni correnti, come metafora della dominanza nazista e allegoria di un mondo concentrazionario.

Nella complessa rappresentazione non sembra trovar spazio la figura dell’untore. Nessuna delle letture critiche lo evoca, né lo riconosce.  Per di più, dicono gli Esperti (Dio scampi e liberi) delle pestilenze, è proprio che l’untore della peste non esiste; per di più, sembra nominabile solo in italiano; non esiste in nessuna altra lingua, di quelle solide, testate, credibili, rassicuranti. Come dire che se non c’è la parola non c’è la cosa. O vaghezza, ma non è forse una cosa senza nome la più inquietante?

In francese, «semeur de peste»; in inglese, «plague spreader»; in spagnolo «incubo de plaga viral» o ampie perifrasi esplicative (quella tedesca “der absichtlichen Verbreitung der Pest Verdächtiger” è un incanto: sembra Goethe, Nietzsche se preferite). È vero che ci sono tristi piaceri nascosti nei dizionari.

La stessa cosa (sentita più volte, a causa delle mie frequentazioni) vien detta del diavolo: ha fatto credere di non esistere, ed era la sua più grande astuzia. O spargeva brume lessicali.

Ogni peste col suo untore

Camus La Peste

Avevo un’eco in testa, mi ronzava una rassomiglianza ritmo-sonora; poi è diventata filologia: il greco πανούκλα, che significa peste, traslitterato in francese è formalmente sovrapponibile al nome del personaggio Paneloux. La peste è lui. Per altro, studi, amicizie e contatti di Camus con il mondo greco sono attestati.

Paneloux è un padre gesuita che nella cronaca di Albert Camus (milioni e milioni di copie vendute sul pianeta) fa il predicatore sommo, insultante persino, prima di aderire al volontariato umanitario. Complessivamente è stato interpretato come un cristiano accettabile (dai cristiani), con le sue contraddizioni, e anche una ambigua morte.

Né la vita, né una lettura, possono davvero dipendere da un semplice quanto inatteso anagramma, e sia pure quasi perfetto.

C’è poi da evidenziare un sospetto inaccettabile: un sacerdote che tuona per convertire il popolo all’obbedienza divina non può essere l’untore… a meno che ciò non faccia parte di un disegno divino. Più ammalati (o minacciati), più convertiti.

Però noi siamo curiosi di rileggere, e siamo andati a controllare. Ci sono alcuni esempi, come dei sintomi: tutto è scritto nel libro, nulla è supposto. (Per ora nessuno mi ha sfidato a duello, o aspettato sotto casa in tre, o ha detto che non so leggere: su questo mi arrenderei).

La scrittura non mente

Camus Combat

L’identificazione dell’anagramma è una rassicurazione personale, quasi un gioco, ma se i segnali si accumulano la narrazione cambia, o almeno una sua articolazione interna, o un significato complessivo: qui di particolare interesse, perché vi sono in gioco ideologia, filosofia e storia personale di Camus e di una generazione intera. L’autore era stato chiaro: «È questa l’opera più anticristiana che abbia scritto», ma gli orecchi sono distratti anche quando lo scrittore è sommo.

Cosa fa Paneloux per meritarsi il ruolo di untore, e nel suo caso sembrano scuotersi le fondamenta di una interpretazione consolidata. Beh, lui si nasconde, ma la narrazione lo smaschera.

Prima apparizione: gesuita erudito e militante, famoso predicatore, accompagna a casa uno sconosciuto portiere che ha sintomi di forte disagio, e poi ne muore: primo caso di peste.

Riappare soltanto dopo una ottantina di pagine nel suo ruolo di tonante predicatore. Gli appestati e tutti i cittadini sono colpevoli e devono convertirsi, previo pentimento. Poi assume un ruolo di aiutante, commosso e problematico, nelle squadre sanitarie. Credibilità morale: totale. La sua morte sarà un caso dubbio: peste o no. Un altro personaggio sostiene che una malattia più grande annulla o nasconde una malattia meno grave.

Neppure il lessico della narrazione mente. C’è un aggettivo, trapu (tozzo), che è usato due sole volte in oltre trecento pagine: una prima volta per definire la figura fisica di Paneloux, e una seconda per l’immagine al microscopio del bacillo della peste.

Sul finire della Cronaca, stormi di uccelli migratori evitano il sorvolo della città di Orano, come se «il flagello di Paneloux li tenesse a distanza» (ed. Gallimard, Paris 1960, p. 207).

Secondo anagramma, casuale come il mondo, ultimo divertimento: il nome del luogo della Peste, Oran, ne evoca linguisticamente un altro, ancora in greco, όναρ (onar = sogno). Straordinaria coincidenza e misteri della casualità.

 

Per i più curiosi, la caccia all’untore e il relativo enigma in Camus sono oggetto di estesa trattazione in «Il lettore di provincia», 150 (2018), pp. 83-96.

Appendice per i supercuriosi di prequel:

«Uno vestito a l’apostolica venne questo anno a Cesena e, predicando per le piaze, diceva: “Timete Deum”. E doppo seguittò uno tempo contagioso e pestilente.» Giuliano Fantaguzzi, Caos [cronaca del XV-XVI secolo].

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