Area 22. Singer e il feuilleton filosofico su ebrei e America

L’arte romanzesca al meglio in “Ombre sullo Hudson” di Isaac Singer, per la nostra rubrica Area 22. Ruvido, crudo, sensuale, magmatico e melodrammatico, è un libro in cui il protagonista, Hertz Grein, è in bilico tra la ricerca di Dio e di una camera d’albergo dove trascorrere una notte con l’ennesima amante. I personaggi che affollano le pagine sono scampati alla Shoah, ne portano i segni nella mente. E non riescono a resistere a certe “idolatrie”…

Scialatevi. Beatevi. Godete dell’arte romanzesca, che scorre come acqua fresca, di un romanziere tra i maggiori, padre non riconosciuto di alcuni grandissimi. Bellow e Philip Roth gli erano debitori più di quanto fossero disposti ad ammettere pubblicamente. Lui a ogni romanzo, a ogni racconto, reinventava la letteratura sebbene la forma – scrittura e struttura – fosse piuttosto tradizionale, e nonostante non distogliesse mai lo sguardo dalla Polonia dell’infanzia e della giovinezza, anche quando scriveva degli Usa: in gran parte i suoi libri siano feuilleton filosofici sull’America e sugli ebrei. Non fa eccezione l’ultima riscoperta di Adelphi, in cui quasi tutti i personaggi (la maggior parte con l’anima imbrattata dalla Shoah, a cui sono scampati) s’arrovellano anche su altro: la vita, la morte, il nazismo, il capitalismo, il comunismo. Accade in Ombre sullo Hudson (633 pagine, 24 euro), a cura di Elisabetta Zevi, con la traduzione di Valentina Parisi (l’unico precedente in italiano era firmato da Mario Biondi per Longanesi, oltre vent’anni fa), nuovo tassello, il sesto, di pubblicazioni di Singer targate Adelphi. Isaac Bashevis Singer – che la sua anima possa riposare nel giardino di Eden – era ossessionato dalla diaspora, dal passato, dall’yiddish, con cui circoscriveva anche i primi destinatari delle sue opere, ricordi e invenzioni, spesso licenziosi, che in certi casi venivano celati al grande pubblico, anche molto a lungo: l’ampio e avvincente Ombre sullo Hudson (ambientato alla fine degli anni Quaranta del Novecento), pubblicato nella seconda metà degli anni Cinquanta, fu pubblicato postumo nella traduzione inglese, oltre quarant’anni dopo la sua prima apparizione in yiddish, su una rivista socialista.

La vergogna d’esser vivi, la maledizione della modernità

La compassione e la comprensione nei confronti di quel «caos di anime perdute» che è l’umanità, la ricerca (e il ripudio) di Dio e quella di una camera di hotel «che accogliesse una coppia senza bagaglio», e lunghe conversazioni su scienza, filosofia e politica, reggono i capitoli di questo romanzo di Singer che si può annoverare tra gli ineguagliabili suoi capolavori, e dunque di sempre. Ruvido, crudo, sensuale, magmatico e melodrammatico, Ombre sullo Hudson fa i conti con i disperati ricordi di chi (anime salve, ma solo nel corpo) è fuggito dall’Europa soffocata dal nazismo, s’interroga sul posto degli ebrei nel mondo e sulla vergogna d’essere vivi, maledice la modernità di quel rifugio che sono gli States, e oscilla nell’individuare ciò che è centrale nelle nostre vite, se il sesso e il nichilismo, o religione e spiritualità. Interrogativi che abbracciano protagonisti e comprimari, ma in particolare l’agente di borsa Hertz Dovid Grein (di sicuro un “fratello” di Hertz Minsker de Il ciarlatanodi Herman Broder di Nemici. Una storia d’amore, stessa tensione, stessa confusione esistenziale e medesima passione per le donne, con una declinazione più tragica), che per quanto sia lontano da Dio non riesce a sfuggirgli, in un corpo a corpo senza fine.

Dai grovigli d’amore alla penitenza gerosolimitana

Il risultato è il primo romanzo di Singer ambientato negli Stati Uniti, anche se nella piccola Polonia degli immigrati, un mosaico magari abbastanza disordinato, non assistito dalle decisive revisioni che Singer applicava alla maggior parte delle sue opere (adattamenti per un pubblico non necessariamente ebraico), in cui l’angoscia prevale sull’ironia caustica, e gli amplessi frenetici hanno il sopravvento sul mondo trasognante e ribollente di immaginazione della sua produzione più nota. I grovigli d’amore di Hertz Grein comprendono la moglie Leah, che tutto sopporta, e l’amante Esther, che gli giura odio eterno (ma che non scompare certo dalla scena, anzi) quando intuisce che nella vita di Hertz c’è spazio per un nuovo amore, Anna, più giovane di vent’anni, di cui è stato precettore in gioventù e che non l’ha mai dimenticato. Anna, infelicemente sposata in seconde nozze, è figlia di Boris Makaver, ricco investitore immobiliare di Varsavia, trapiantato negli Usa, risposatosi e tornato a vivere secondo i precetti dell’ortodossia religiosa. Nella sua casa, in mezzo a tutti i suoi ospiti, prende avvio Ombre sullo Hudson di Isaac Singer. E sempre lì, con qualche personaggio in meno, quasi si conclude, durante una festa di compleanno, in cui il lettore apprende della fine delle principali figure, forse senza sorprendersi troppo dell’epilogo relativo a Hertz Grein («Si diceva che fosse partito per la Terra Santa e vivesse come un penitente nel quartiere di Meah Shearim a Gerusalemme»), demone e santo, creatura tormentata dagli orrori che Dio permette e dalla religione pagana dell’amore e del sesso, creatura infine rimpianta da Boris, nonostante una parabola esistenziale priva di logica, che egli stesso racconta in una lettera.

Ciò che gli ebrei hanno insegnato ai gentili

Un poema con qualche imperfezione, una sinfonia con alcune stonature, susseguirsi di sensi di colpa inarrestabili e furie erotiche senza freni, di morti e malattie, di fughe e rimorsi, per fortuna lungo e accogliente, che tiene compagnia per un bel po’ di tempo. Un romanzo, Ombre sullo Hudson, con rivoli di trame e sottotrame, che guarda agli ebrei dal punto di vista privilegiato per eccellenza, ancor più di Gerusalemme e Tel Aviv, da Manhattan, dall’Upper West Side di New York; guarda all’ebraismo secolarizzato, alla sua lingua perduta, alle sue consuetudini sociali che si ripetono fiaccamente. Racconta l’influenza che gli ebrei avevano ai tempi di Singer e che hanno continuato ad avere fino ai nostri giorni.

Per tremila anni avevano saputo resistere all’idolatria e adesso erano diventati i principali produttori di Hollywood, i più importanti editori di giornali, i leader comunisti più radicali […]. Adesso si mettevano persino a insegnare ai gentili come godersi i piaceri di questo mondo.

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