La Circe di Miller? Tutti meritiamo un lieto fine

“Circe” di Madeline Miller è un libro sulla speranza. E sui lieti fine che esistono – forse, da qualche parte. La rivisitazione del mito a partire dall’infanzia, fino alla libertà da rivendicare e alla felicità attesa e possibile

Possiamo essere chi meritiamo di essere – nonostante tutto.

Lo sa bene Circe che dopo aver tanto sopportato cattiverie immeritate e dopo aver tanto sofferto, è riuscita a lasciarci tutto alle spalle – l’odio degli dei e le loro condanne, il terrore o il ribrezzo che la gente associava al suo nome, una famiglia che non l’ha mai accettata.

Possiamo essere chi meritiamo di essere. Ma possiamo anche avere ciò che meritiamo di avere.
Possiamo farlo – ci insegna Circe – avendo pazienza.
E resistendo a tutto – resistendo cercando la forza dentro di noi, ricercando la nostra identità, costruendoci un mondo nostro – più giusto.

E, infine, possiamo farlo rivendicando il nostro posto nel mondo.

I miti che insegnano sempre

Circe (416 pagine, 12 euro) di Madeline Miller (tradotto da Marinella Magrì e pubblicato da Feltrinelli Marsilio) ci dimostra, ancora una volta, come i miti resistano al tempo e ai cambiamenti culturali, riuscendo a insegnarci qualcosa – sempre.

Miller ripercorre la vita di Circe fin dall’infanzia, svelandone i pensieri che taceva in un periodo in cui il suo unico ruolo – assegnatole dal mondo delle divinità – era quella dell’emarginata.

Ecco il mio pensiero: tutta la mia vita non era stata che tenebre e abissi, ma io non ero parte di quelle acque scure. Ero soltanto una delle creature che le abitavano.

E ancora:

Così erano allora i miei anni. Vorrei poter dire di aver trascorso tutto quel tempo cercando una via di fuga, ma in verità mi ci ero aggrappata, temo, convinta che quei tediosi tormenti fossero tutto ciò che c’era, fino alla fine dei miei giorni.

Il destino modificabile

Circe accetta l’isolamento, la solitudine imposta, una vita priva di calore perché – in fin dei conti – pensa che è così che vadano le cose. Che è questo che il destino le ha riservato. Pensa che questa sia la sua unica – ed eterna – vita possibile.

Fin quando non inizierà a scoprire che il destino, in realtà, lo può modificare lei. Con impegno, dedizione, studio della magia ed affinamento delle sue abilità che mai utilizzerà per vendicarsi, o come strumento per esternare odio e rancore.

Mai.

Continuerà ad essere chi è, aggrappandosi a quei rari abbracci che – per brevi periodi o per sole alcune notti – le regaleranno l’illusione di poter essere non amata, ma almeno desiderata.

Fin quando un amore molto più grande di quello che lei aveva anche solo immaginato le sconvolgerà la vita. Al punto da essere disposta a far tutto – anche sfidare gli dei.

E, infine, anche a rivendicare la sua libertà.

Dall’abisso alle parole attese

Solo a quel punto, dopo aver anche raggiunto a piedi nudi l’abisso più profondo per affrontare la più temuta delle creature, Circe sarà felicemente invasa da ciò che merita.

Alla fine, senza chiederle, e piena di stupore, se le sente dire – quelle parole che ha tanto atteso.

Non ti ho mai fatto fretta. Non lo farò adesso. Ma voglio che tu sappia che se andrai in Egitto, se andrai in qualsiasi luogo, io voglio venire con te.

Circe è un libro sulla speranza. E sui lieti fine che esistono – forse, da qualche parte.

Ce lo aveva insegnato anche Regina Mills – la strega cattiva di Biancaneve – nell’ultimo episodio della serie basata sul mondo delle favole, Once upon a time: tutti meritiamo un lieto fine. E magari non è quello che immaginiamo.
E magari non è dove lo cerchiamo.

Ma c’è. Basta aspettare e mai cedere all’odio e al male, nonostante tutto. E basta continuare a crederci un po’, in quei miti e in quelle favole che ci portiamo dentro.

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