Rigoni Stern 100, Tonle che vuol trattenere ciò che scompare

Mario Rigoni Stern, di cui ricorre il centenario della nascita, considerava “Storia di Tonle” il suo libro più bello. Non a torto, se si leggono queste pagine di realismo e incanto, con un protagonista in cui si intravede lo stesso autore, il legame con la terra natia, la fedeltà e la nostalgia per un mondo che scompare, la pace da contrapporre a una guerra incomprensibile. Un volume che racconta di persone e cose che scompaiono, della forza di trattenerle

Primo nel cuore dell’autore, e primo, in apertura del volume, de I Meridiani, perché cronologicamente era quello ambientato più lontano nel tempo, una specie di miccia di quell’unico grande romanzo che è l’opera omnia di Mario Rigoni Stern. Storia di Tonle pubblicato da Einaudi, era un libro speciale per lo scrittore di Asiago – lanciato nel firmamento da Elio Vittorini, siciliano che non merita solo d’essere ricordato per il no, complesso e non semplicistico come tramandato, a Tomasi di Lampedusa – e non certo per la vittoria, nel 1979, del premio Campiello e del Bagutta. Questo breve romanzo è una delle tante dimostrazioni del fatto che Rigoni Stern, nato cent’anni fa, il primo novembre 1921, è tutt’altro che un outsider del Novecento italiano, è un assoluto protagonista.

Tutto nacque da un racconto

Chi legge o rilegge Rigoni Stern non potrà fare a meno di sentirne la precisione del lessico ricco ma nitido e comprensibile, intrecciata alla rettitudine, alla solidarietà, al senso dell’amicizia, al rapporto intimo e virtuoso con la natura. Racconta (e riflette su) cose semplici, quello che Vittorini aveva definito negli anni Cinquanta del secolo scorso con queste parole: «non è scrittore di vocazione… Forse non sarebbe mai capace di scrivere di cose che non gli sono mai accadute». E, in effetti, andrà così, con opere che compongono l’affresco di un mondo, e che intrecciano autobiografia, riflessione, impegno civile, e ambientalista prima di tutto. Le sue sono pagine in cui si trovano, in contemporanea, realismo e incanto. Non sempre in modo prepotente, ma instancabilmente, la propria vita affiora in tutti i suoi libri, anche in Storia di Tonle (pubblicato nel 1978), il cui primo capitolo era apparso sul quotidiano La Stampa, sotto forma di racconto.

Il respiro epico e universale

Storia di Tonle conferma l’impronta epica e universale della prosa di Rigoni Stern, autore che tutt’altro che locale, capace come pochissimi di coniugare piccola e grande Storia. Nell’anima di Tonle Bintarn – nonostante la narrazione parta a metà Ottocento e si concluda con la Grande Guerra, quella guerra «che già chiamavano mondiale come se ciò fosse un progresso», tre anni prima della nascita dello scrittore di Asiago – si intravede certamente quella dell’autore alpigiano, la sua nostalgia e l’innato legame con la propria terra, simboleggiata da un ciliegio selvatico sul tetto. Tonle è un pastore e contadino, figlio di una patria tra i monti a cui da lontano sempre anelerà, contrabbandiere per necessità, ramingo (allevatore, venditore ambulante, giardiniere) per quattro anni lungo l’Europa danubiana, dopo aver ferito una guardia di frontiera: tornerà di nascosto ogni volta che potrà nell’Altopiano dei sette Comuni, per poi viverci definitivamente grazie a un indulto. Non sarà la fine, dovrà fare i conti, colmo di tristezza e non di odio, con la Grande Guerra («Il 28 giugno 1914 vi furono le pistolettate di Sarajevo, ma la notizia a Tonle la portò un carbonaio più di un mese dopo il fatto»), con i bombardamenti e le truppe per le strade del suo piccolo borgo…

Il ciclo della natura e delle stagioni

La semplicità e la profondità dello sguardo di Rigoni Stern, indomito uomo di confine, vanno rintracciate in quello istintivo ma poetico di Tonle, fedele alle origini, al suo mondo antico (una Mitteleuropa multiculturale, oltre che la sua Asiago), libero, legato ai cicli della natura, quello delle stagioni, quello della vita (e della morte), nonostante i rovesci del destino e situazioni che tanti altri avrebbero ingoiato con disperazione. Non lui, non loro, a volere considerare lo stesso autore, oltre al personaggio. E sebbene il suo mondo (a cominciare dalla lingua cimbra) in qualche modo stesse per scomparire, restare e resistere, sempre in modo rocambolesco, sono le uniche cose che riescono a dargli forza, nonostante tutto. Un piccolo libro di pace e guerra, di pace contro la guerra, di persone e cose che scompaiono, della forza di trattenerle, in qualche modo.

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