Kadish tra emancipazione femminile e sete di conoscenza

Ne “Il peso dell’inchiostro”, attraverso una storia avvincente e uno stile letterario intrigante nel suo variare di registri narrativi, Rachel Kadish ci disvela la cultura e la tradizione ebraiche. Facendo emergere prepotentemente la filo-sofia, l’amore disinteressato per la conoscenza. Centrale, grazie alla protagonista, il tema dell’eterna fatica di Eva, che deve espiare l’unica colpa, d’essere donna…

Parafrasando Bauman, il tempo viene percepito, sempre più, come un’entità liquida, che scorre senza lasciarci il modo di riflettere consapevolmente su ciò che accade intorno, ma, soprattutto, dentro di noi.

Il mondo dell’editoria, spesso, pare adeguarsi a questa presunta necessità del lettore contemporaneo di dover fruire di libri brevi, da poter fagocitare in un soffio, spesso senza dare ad ogni pagina, anzi ad ogni riga, il tempo necessario per comunicare il proprio messaggio. Non lasciamo al pensiero, al logos, lo spazio necessario per sedimentare nel nostro spirito, divorato dalla fretta.

Il peso dell’inchiostro (699 pagine, 18 euro), edito da Neri Pozza, di Rachel Kadish, scardina questo presupposto, richiedendo, a chi si accosti a quest’opera, un’immersione totale nei meandri affascinanti delle parole di un libro, che è difficile inserire completamente all’interno di una categoria letteraria dai confini ben delineati. È proprio qui che risiede ciò che inchioda il lettore fra quelle righe, in cui la cultura e la sapienza ebraiche fanno da sfondo e da cornice storica ad un racconto in cui emerge, prepotentemente, la più nobile delle passioni umane: la filo-sofia, qui intesa nel suo significato originario e più autentico, ovvero amore disinteressato per la conoscenza. Un amore che, platonicamente, permane come tensione perenne, e mai completamente soddisfatta, verso l’oggetto amato

Il peso del desiderio

«Il potere del desiderio è sufficiente a scuotere le radici del mondo». È racchiuso in questa frase il senso ultimo del romanzo di Kadish, una frase che evoca tutta la forza e la potenza comprese nella capacità dell’uomo di superare se stesso, nel momento in cui riesce a trasformare un fremito in una leva con cui sollevare il mondo.

Il desiderio può inverarsi in molteplici attese, che diventano sogni, o scuotere l’anima di chi lo sente affiorare, trasformandolo in frecce scagliate verso orizzonti capaci di cambiare un destino.

Kadish, fin dalle prime pagine, rende manifesto il suo intento, ovvero esaltare, attraverso un intreccio avvincente, il valore, che oserei dire afrodisiaco, della conoscenza, capace di inebriare l’uomo che si abbevera alla sua fonte, senza riuscire mai a saziarlo, avvolgendolo in una spirale ascendente che lo ipnotizza e lo seduce, costringendolo a non fermarsi mai in questa ricerca di meraviglia, per dirla con Aristotele.

La donna, mano invisibile della storia

Il filo rosso, che attraversa il romanzo e che congiunge epoche distanti in un’unica trama compiuta, è l’eterna, e mai risolta, questione dell’emancipazione della donna, soprattutto in ambito culturale.

Il peso dell’inchiostro riesce in un’impresa ardua, ovvero trattare la tematica in maniera niente affatto banale, intrecciandola, in maniera sagace, con il tessuto narrativo.

L’autrice, senza forzati accenti femministi, fa emergere, con naturalezza, il tema dell’eterna fatica di Eva, che deve espiare la sua unica colpa, ovvero essere donna, cioè qualcosa di diverso dall’uomo. Senza che trapeli, in maniera manifesta, dalle righe del romanzo, sorge, spontaneamente, nel lettore una riflessione sul faticoso percorso della donna verso un’emancipazione, che, in molte, troppe, porzioni di mondo, rimane ancora un’utopia lontana, quasi un sospiro incompiuto.

La sapienza ebraica

L’opera di Rachel Kadish, attraverso uno stile letterario intrigante nel suo variare di registri narrativi, ci disvela la cultura e la tradizione ebraiche in maniera davvero coinvolgente.

Un ruolo determinante, in questo viaggio all’interno di un universo culturale e religioso tra i più affascinanti, è la figura del rabbino HaCoen Mendes, la cui cecità rende l’accostamento ad Omero quasi un obbligo. Entrambi, il cantore delle gesta di Ulisse e la guida di una piccola comunità dispersa in terra straniera, rivelano, in ciò che potrebbe essere definita una mancanza, l’essenza superiore delle loro capacità.

L’unico occhio che non può essere reso cieco è quello dello spirito, la cui vista, anzi, si acuisce, attraverso un’arma potentissima: «l’odore dei libri».

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