Area 22. De Luca e cinque donne bibliche profane e sacre

L’intraprendenza di Tamar, il coraggio di Raab, la dolcezza di Rut, la bellezza di Betsabea e la grazia di Maria. Ne “Le sante dello Scandalo” Erri De Luca le racconta mentre agganciano il tempo e se ne impossessano a modo loro, facendo proprie delle caratteristiche maschili, divine, eteronomiche, pur di conquistare due vite: la loro e quella della creatura che metteranno al mondo…

Pochissime pagine, appena sessanta, quelle attraverso le quali Erri De Luca (nella foto tratta da fondazioneerrideluca.com) ci consegna una delle sue meditazioni, dei suoi soliloquia che diventano i tipici libri di Erri De Luca, che chiamarli “libri” è strano, perché somigliano sempre più a dei fascicoli, a delle… lettere.

Già. Significa che il tempo ci filtra l’essenza di questo Scrittore così grande attraverso cristalli sempre più essenziali del suo spirito che, mirabilmente, ha trasformato in arte la necessità e il desiderio di consegnarsi.

Cinque carezze narrative

In cinque accenni di racconto, che sono – appunto – come delle carezze narrative, come delle chiacchierate tangenti che ti sfiorano quasi senza intenzione, De Luca si sofferma su cinque donne della Scrittura: quattro prese dall’Antico Testamento e una dal Nuovo, ma senza che – e questa è la bellezza di un tale testo – se ne possa cogliere la distanza. La poesia, quando si fa racconto, quando tocca le labbra di una bocca incastonata tra le pagine della Scrittura perché possa parlare (come fa Dio con i profeti), riesce ad ingannare gli istinti del tempo che sempre, con la scusa di custodire gli eventi, vorrebbe quasi incastrarli. E invece no: a chi legge non succede di cogliere i secolari passaggi intercorsi tra una storia e l’altra, tra una donna e l’altra di cui si racconta.

Il libro, edito da Giuntina, s’intitola Le sante dello Scandalo (60 pagine, 8,50 euro) ed è stato pubblicato nel 2011, quindi già dieci anni fa. Ma con De Luca, appunto, è facile che accada di leggere un suo scritto senza chiedersi quando sia stato scritto. Il tempo non importa. Almeno non quello della redazione. Importa quello che comincia dall’ultima pagina in poi, importa il tempo fecondato da questa lettura, quel tempo che – a quel punto – potrà partorire novità e bellezza.

Questa è l’impressione che si coglie ad ogni ultima pagina di De Luca: si ha la sensazione che, poi, non sarà più come prima; che quelle poche pagine debbano poi, in qualche modo, corrispondere a tutti gli anni a venire: è la sensazione di chi è rimasto gravido di un seme, di una potenza che fa di tutto per diventare atto.

Libro di donne, ma non al femminile

Le sante dello scandalo è un libro che “parla di donne” ma non è un libro al femminile; la sua intenzione – così ci è sembrato – non è immediatamente questa. Parla di donne ma il lettore non se ne accorge. Se il lettore è un uomo, dopo aver letto il libro si sentirà ancora più uomo: avrà il desiderio d’esserlo meglio, e ancora di più. Si legge la storia di cinque donne che, però, sono capaci di predicare qualcosa su qualsivoglia esistenza ricevente, indipendentemente dal genere. Così come da un ventre di donna può nascere un bimbo o una bambina, allo stesso modo, da questi cinque racconti di donne, può essere ripartorito ogni lettore: nuovi maschi, nuove femmine. Una madre è per tutti.

Ed è bello soffermarsi sulla specificazione del titolo: dello scandalo. Non basta, dunque, che siano donne: la generazione di una vita presuppone uno scandalo, perché ogni nascita è un inciampo del tempo, che ricade sulla condizione umana, la presuppone e la rimodifica costantemente, a costo di sovvertire equilibri di leggi e di consuetudini.

E così, le cinque protagoniste di queste cinque storie, che è una Storia sola, agganciano il tempo e se ne impossessano a modo loro, facendo proprie delle caratteristiche maschili, divine, eteronomiche, pur di conquistare due vite: la loro e quella della creatura che metteranno al mondo.

Cinque donne che, innestate all’interno di una lista generazionale precisa e decisiva, scelgono con dolcissima prepotenza di afferrare il proprio spazio, perché l’umanità circostante non soffochi.

Una brevità che non è insufficienza

Erri De Luca, che tra un rigo e l’altro dei suoi racconti ci insegna un po’ di ebraico (e ci insegna ad amarlo per la lingua che è: una superficie da cui appare un’immensa profondità), gioca volentieri con le sciarada dei sensi e delle forme: tratta la lingua originale delle sue storie con la stessa meravigliosa e saggia ironia con cui essa si è strutturata dentro il cuore di un Popolo: una lingua capace di usare linguaggi curvi, proiezioni di significato che possono percorrere insospettabili ellissi, creando un terrazzamento semantico dove, ad ogni livello, è possibile cogliere la fragranza di una sapienza diversa. Ce n’è davvero per tutti! Si può leggere della stessa Tamar, e cogliere da questa lettura dieci cose diverse, su altrettante altezze; in tal senso, ci sembra, De Luca continua con esperta competenza il lavoro della Scrittura: prendere sul serio, senza la pretesa di completarla e di esaurirla, quella Parola capace di parlare a tutti e a tutti i livelli. Riesce a farlo perché, con altrettanta umiltà, sa tenersi distante dalla Lettera Sacra come Mosè dal Roveto. Essere troppo vicini può impedirci di udire o di vedere bene. De Luca misura la propria distanza dall’oggetto sacro con lo stesso metro con cui calcola la lunghezza dei suoi libri: una brevità che non è insufficienza, ma reverenziale rispetto davanti alla Parola, anche quando questa fosse scritta con un’iniziale minuscola. Una seduzione, si potrebbe dire, il modo con cui De Luca, parlando a noi della Bibbia, parla ad essa attraverso di noi.

Come se fossero figlie sue…

Tamar, Raab, Rut, Betsabea e Maria si trovano dunque coinvolte in una ridda in cui, a vederle danzare dall’altro della pagina profana, si coglie tutta la bellezza della loro sacralità; ma i due estremi si toccano: è proprio il loro essere così profane a renderle sacre, e non secondo la logica di De Luca, ma proprio secondo quella biblica, che l’Autore decodifica sapientemente. Vi è, nel testo sacro, una sottile lama di ironia che cesella gli spiriti, e che solo ai più raffinati sa dare certi gioielli di senso. De Luca, questa è la nostra impressione, riesce a farvi delle collane per quanti ne coglie! E ci sembra che torni a regalarle proprio alle donne di cui ha parlato, di cui sembra essersi quasi innamorato (come non si potrebbe, del resto?), tanta è la dolcezza con cui le descrive.

Sapete quando un padre racconta agli amici certe caratteristiche di sua figlia? Ecco, con la stessa attenzione De Luca parla di queste donne, quasi che le abbia generate lui! Succede quando, dopo esserti abbeverato alla Scrittura, i suoi personaggi ti entrano dentro e si lasciano riplasmare dalla tua esperienza, in forme sempre nuove che, ancora e ancora, vengono consegnate.

Le cinque donne raccontate da De Luca sono passate da lui tanto quanto lui è passato da loro: una reciprocità generativa in cui noi, lettori sul margine di un segreto, siamo stati resi partecipi malgrado noi stessi, ad ascoltare confidenze tra innamorati.

Un libro che si legge in pochi minuti: tanto basta a un uomo e una donna per conoscersi, per condividere quell’attimo che cambia la storia!

L’intraprendenza di Tamar, il coraggio di Raab, la dolcezza di Rut, la bellezza di Betsabea e la grazia di Maria. Dietro queste 5 donne + 5 virtù c’è un 10, c’è Iod, la più piccola delle 22 lettere ebraiche, ma quella che – più di tutte – somiglia ad un Seme.

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