Tre fratelli e il Sudafrica, le “metamorfosi” di Galgut

Una storia familiare – tra conversioni religiose, morti, amori, eredità – lunga oltre quattro decenni nel romanzo di Damon Galgut, vincitore del Booker Prize, “La promessa”. Protagonista anche il Sudafrica, che passa dall’oppressione alla prevalenza della maggioranza nera

Pretoria. 1986-2017. Nella primavera 1986 siamo in pieno apartheid. In una fattoria isolata dell’Alto Veld, muore l’orgogliosa socievole 40enne Rachel Cohn Swart, da oltre sei mesi ammalatasi di tumore, e il funerale è colmo di tensione, lei era tornata da poco alla sua vecchia religione ebraica anglofona, il marito Herman Albertus Swart e la relativa famiglia, della chiesa riformata olandese, culturalmente rigidamente afrikaner, non lo avevano proprio accettato. I figli sono da tempo in vario modo turbati: il 19enne Anton è sotto le armi, ha forse appena ucciso una donna che stava per tirare un sasso alla manifestazione di protesta e vuole disertare; la bionda procace 17enne Astrid ha appena fatto la prima volta l’amore con l’aitante sincero aiutante alle stalle Dean de Wet e vuole continuare; la piccola bruttina strana 13enne Amor è relegata in un odiato pensionato (il padre non è nemmeno convinto sia la sua, anche se era stato lui a tradire spesso la moglie) e sta per avere la prima mestruazione. Proprio Amor quindici giorni prima aveva ascoltato di soppiatto le ultime volontà della morente, Ma chiedeva a Pa di lasciare alla coetanea domestica nera Salome, che l’aveva servita e accudita per venti anni, molto durante la terribile malattia, una misera casetta storta non distante dalla loro, detta casa Lombard, dove viveva con il figlio Lukas. E se lo fa promettere. Amor lo ricorda a tutti nel disinteresse generale e lo ripeterà sempre. Ritroviamo i figli tutti distanti oltre nove anni dopo, nel giugno 1995, quando è appena morto il padre, morso da un serpente al suo parco dei rettili, ma non vi è traccia dell’impegno sulla casupola nel suo testamento; poi, ancora altre due volte nei momenti topici di vite e morti in famiglia, fino al febbraio 2017.

Epopea familiare e storia sociale

Splendido e vincitore del Booker Prize 2021, La promessa (282 pagine, 18 euro), tradotto da Tiziana Lo Porto per e/o, nuovo romanzo del grande scrittore sudafricano afrikaans Damon Galgut (Pretoria, 1963), un originale spaccato di istantanee sull’epopea familiare e sulla storia sociale. I pochi giorni posteriori a quattro eventi culminanti servono a ricostruire le esistenze dei tre fratelli bianchi all’ombra dell’antica promessa materna-paterna (da cui il titolo) e di altre promesse mancate, all’interno di un paese che passa dall’oppressione alla prevalenza della maggioranza nera. Loro non cambiano per questo, piuttosto per propri autonomi divergenti caratteri e percorsi individuali che suggeriscono anche specifici adattamenti: Anton vorrebbe scrivere un romanzo di rivolta, Astrid si fa amante di un potente politico nero, Amor diventa infermiera e omosessuale (ed è lei l’iniziale e maggior protagonista, colpita a sei anni da un fulmine).

Maestria e poesia

La narrazione di Galgut è varia, c’è una voce narrante che spesso si intervalla alla terza persona varia; lo sguardo comunque terzo ed esterno trasfigura talora nella prima o nella seconda seguendo pensieri e azioni del personaggio, anche in altre città; fra i personaggi cruciali non vi sono solo genitori e figli, con contorsioni varie pensano e agiscono gli zii, i ministri dei culti, più o meno occasionali compagne e compagni di esperienze o di vita; il passaggio dall’uno/a all’altro/a non è scandito e passa dentro le connessioni emotive o contingenti, sempre con grande maestria e poesia; la lettura talora sembra inciampare, mantenendo però il magico fluire di menti e corpi vicini che si guardano reciprocamente da lontano, come se il narratore avesse una cinepresa mai spenta su cambi di scena e prospettiva con lunghissimi piani sequenza (Birdman, ma non siamo a teatro; La la land, ma non è musical). In esergo al romanzo di Galgut una domanda a Fellini: “ma perché nel suo film non c’è neanche una persona normale?” Peraltro, “il denaro fa emergere gli aspetti più brutti della natura umana” e sia per gli ebrei che per gli afrikaner “il sangue è la colla più densa di tutte” (e forse anche per altri). Sullo sfondo, Mandela vecchio al lavoro e Mbeki assurdo sull’Aids. Musiche dissonanti. Molto buon vino rosso.

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