La vinta di Cagnati e l’elogio della sofferenza

La riscoperta di “Génie la matta” di Inès Cagnati ci consegna un romanzo verace, carico di turbamenti e sentimenti contrastanti, con un’ambientazione che sembra un dipinto di Cézanne e una prosa asciutta. Il tentativo di Génie di difendere a tutti i costi la figlia dal dolore che lei ha patito, si rivelerà vano…

Ci sono libri di cui personalmente diffido perché ne parlano tutti troppo bene. Di Génie la matta (184 pagine, 18 euro), edito in Italia da Adelphi e tradotto da Ena Marchi, avevo letto solo recensioni positive. Quindi partivo dal presupposto che avrebbe potuto deludermi. Invece, non è stato così. Mi è piaciuto tantissimo, anzi è stata una delle letture più dense e soddisfacenti degli ultimi anni. Un romanzo verace, con una storia amara e coinvolgente, carico di turbamenti e sentimenti contrastanti, con un’ambientazione che sembra un dipinto di Paul Cézanne e una prosa asciutta, essenziale, precisa, da “esibire” agli studenti dei corsi di scrittura creativa. Una prosa sapiente quella di Inès Cagnati, autrice francese di chiare origini italiane, capace di dosare le parole e rimarcare i concetti più importanti e profondi del romanzo, attraverso ripetizioni cadenzate che entrano nella mente del lettore.

Non starmi sempre tra i piedi.

L’affetto elemosinato

La storia è quella di una figlioletta e di sua madre, una giovane donna ripudiata dalla propria famiglia per aver dato alla luce una bastarda, costretta a lavorare duramente a giornata nei campi o con le bestie, sfruttata dagli abitanti della zona, per sostenersi e dare da mangiare alla bimba. Una bimba dolcissima che le gironzola attorno cercando costantemente con gli occhi, nel freddo e nel silenzio di una casupola semi-abbandonata, l’affetto della madre afflitta. Un’adorazione commovente, un elemosinare l’affetto della madre che non lascia indifferenti. Siamo nella prima metà del ‘900, in una Francia rurale e aspra. Génie viene detta “la matta” perché non parla: non è muta, semplicemente ha deciso di opporsi col silenzio alle ingiustizie della vita e alla crudele solitudine che persino la sua famiglia gli ha imposto. I personaggi e gli episodi legati alla dura vita di campagna sostengono splendidamente una trama lineare eppure complessa come la vita, un romanzo breve che in una storia ne contiene tante.

I suoi occhi avevano assunto il colore delle lacrime. Diceva: «Non ho avuto niente, io»

La speranza? Un miraggio o un’illusione

Génie la matta si è rivelata una lettura straziante perché concede poco alla speranza, vista più come un miraggio o una perfida illusione. Né è testimone la piccola Marie legata alla madre dallo stesso destino, che crescendo intraprenderà gli studi per garantirsi un futuro migliore, che troverà quasi per caso l’amore della sua vita. Ma che poi, anche quando le cose sembrano mettersi per il verso giusto, finiranno per guastarsi inesorabilmente. Quello della Cagnati è un elogio della sconfitta, della sofferenza che attraversa lo spazio e il tempo. Perché il tentativo di Génie di difendere a tutti i costi la sua Marie dal dolore che lei stessa ha patito, si rivelerà vano. La Cagnati (1937-2007) sosteneva che si scrive se si ha qualcosa da dire: e lei, evidentemente, ne aveva cose da dire.

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