Un fascista spregiudicato e impunito, Boni condanna Azzariti

«In questi tempi di fervore e di gloria» è un implacabile saggio storico di Massimiliano Boni sulla figura del giurista Gaetano Azzariti, compromesso col regime fascista, antisemita, tra i protagonisti della promulgazione delle leggi razziste, eppure capace di superare senza conseguenze il dopoguerra e diventare presidente della Consulta…

Non vedevo l’ora di leggere un nuovo romanzo di Massimiliano Boni, romanziere e studioso di ebraismo. Aspettavo da anni. Avevo molto amato il precedente, Il museo delle penultime cose, pubblicato da 66thand2nd (ne avevamo scritto qui). Mi ha spiazzato, pubblicando un denso saggio storico per la casa editrice Bollati Boringhieri. Vi eviterò la banalità del saggio che si legge come un romanzo. Piuttosto vi dirò che è un saggio – nel senso compiuto del termine – coraggioso, chiaro, rigoroso, documentatissimo, con cinquanta pagine finali di note e bibliografia.

Nessuna zona grigia

La vicenda affrontata da Boni non mi era del tutto ignota. Ne avevo letto in una rubrica delle lettere di Corrado Augias, da cui si apprendeva che all’ex presidente del Tribunale della razza Gaetano Azzariti, poi presidente della Corte costituzionale dal 1957 al 1961, fosse dedicata una strada a Napoli (si corse ai ripari, intitolando la via a una bimba ebrea deportata e successivamente morta); e che un suo busto fosse presente nella sede della Consulta, poi rimosso ufficialmente per restauro. Aspetti ricordati anche nel capitolo conclusivo di «In questi tempi di fervore e di gloria». Vita di Gaetano Azzariti, magistrato senza toga, capo del Tribunale della razza, presidente della Corte costituzionale (351 pagine, 26 euro). Primi passi di una rimozione del “mito”, e di contestazioni di talune posizioni molto più “morbide” nei confronti del giurista: le conclusioni a cui però giunge Massimiliano Boni cozzano con quelle di chi sostiene che Azzariti, se non addirittura un benefattore di ebrei, si potesse collocare in una “zona grigia”. Così non è: militante fascista, Azzariti partecipò alla «zelante esecuzione e ideazione della macchina legislativa» del regime.

Schiene curve per tutte le stagioni

La parabola di Azzariti potrebbe apparire strana se gli uomini come lui, buoni per tutte le stagioni, non abbondassero in tanti momenti cruciali della storia italiana. Schiene curve e servi compiacenti dei potenti di turno. Magistrato, segretario di ministri, poi cooptato dal regime fascista, per cui contribuì a scrivere le leggi razziali del 1938, arrivò al vertice del Tribunale della razza (istituzione che valutava quei pochi ebrei che vollero “comperare” la cancellazione dell’identità, per “arianizzarsi”); riuscì a superare indenne il dopoguerra, anche grazie all’amnistia decisa da Palmiro Togliatti (e alla cui redazione partecipò), e infine presidente della Corte costituzionale negli ultimi anni di vita. Figura paradigmatica, non caso isolato.

Il “problema Azzariti”, infatti, rappresenta il modo con cui gli apparati di un intero paese – e in particolare la magistratura – transitò praticamente indenne da una dittatura (e una monarchia) a una democrazia (e a una Repubblica). La sua parabola richiede di essere inserita in un movimento più ampio…

Restare a galla, con unanimi rimozioni

Boni – che della Corte costituzionale è consigliere – ricostruisce minuziosamente, a cominciare dal funerale (col paradosso di una sepoltura al Verano, «confinante con il reparto israelitico») la biografia del napoletano Gaetano Azzariti, da cui erano già stati scrostati e rimossi – in modo pressoché unanime – gli elementi imbarazzanti, l’ingombrante ventennio al servizio del fascismo. La vulgata che avvolgeva il giurista, figlio della grande tradizione di notabili partenopei? «Azzariti si è ritenuto investito della natura di tecnico, di “sacerdote” del diritto. A lui era chiesto di esercitare il rito, non di giudicarne il contenuto». Il rito fu esercitato alla perfezione, tanto che divenne giuridicamente valida la persecuzione degli ebrei, la loro discriminazione, il godimento di diritti differenziati. Boni (qui un suo articolo scritto per noi) ha spulciato documenti inediti, discorsi, interventi pubblici, da cui emerge l’antisemitismo di Azzariti, l’adesione al fascismo, non certo una tenue piaggeria, ma un passaggio decisivo, con tanto di macchie e connivenze. L’appartenenza a una corporazione di intoccabili, spregiudicatezza e cinismo, e l’inquietante memoria corta di tanti italiani, l’eterna predisposizione al compromesso, gli consentirono di restare a galla…

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