Punzo, quella fretta di crescere tra sottintesi e ambiguità…

Vittorio Punzo è uno dei debuttanti più brillanti dell’anno. Il suo romanzo “L’età delle madri”, segnalato al premio Calvino, racconta tra reale e onirico, una storia di dinamiche torbide, attraverso alcuni personaggi “inaffidabili”: un giovane, la sua ragazza e la madre di lei, che poi prende il sopravvento nel rapporto con lui…

C’è un ragazzo, Domenico, che vuol dimostrare di essere adulto. E due donne – la fidanzata di Domenico, Maria Vittoria, e la madre di Maria Vittoria, Anna – che invece sembra facciano di tutto per non crescere e continuare a vivere in un’eterna adolescenza. L’età delle madri (224 pagine, 16 euro) di Vittorio Punzo, pubblicato da AlterEgo, parte da questo presupposto narrativo, che già di per sé vale la pena approfondire. Perché incuriosisce ed è gravido di promesse intriganti e turbamenti emotivi e ormonali. Se il presupposto di partenza minaccia tempeste a primavera, il seguito non vi deluderà, al di là di ciò che state immaginando. Il giovane autore, classe ’98, è stato tra i finalisti dell’ultima edizione del Premio Calvino e ha ricevuto una menzione speciale della giuria: “Un testo interessante, suggestivo, coraggioso e delicato nell’analisi di sentimenti e relazioni…”, si legge nella motivazione. Insomma, un esordio che non può passare inosservato, forse tra i più brillanti dell’ultimo anno, assieme a Bernardo Zannoni (I miei stupidi intenti, Sellerio) e Francesca Zupin (Salvamento, Bollati Boringhieri).

Dinamiche torbide e vaghe

Io mi chiamo Domenico, ho sedici anni e dimostrerò che non sono un ragazzino.

Il protagonista del romanzo è Domenico, un ragazzo intelligente, curioso, poco interessato ai coetanei e alla scuola, che sogna di diventare un artista di collage. Siamo in uno sperduto paesino di provincia. Di Domenico sappiamo poco, se non che è innamorato (e la sua passione è ricambiata) di una ragazza più grande di lui che vive con la madre, una donna giovane, attraente, svagata, che viene dal Baltico, che si esprime a mezze frasi, che bazzica personaggi strani, e che fuma e beve senza sosta. La storia attraversa di continuo la linea che delimita il reale dall’onirico e fa quasi a meno del tempo. È una stagione di passaggio, quella che vive Domenico, desideroso di bruciare le tappe. Vuole dimostrare al mondo di essere un uomo, non più un ragazzino: e in effetti a tratti appare più maturo dei suoi anni, a volte invece risulta ingenuo e avventato. Le dinamiche che si innescano sono torbide, vaghe, e lasciano molto all’immaginazione del lettore. Col passare dei giorni, anzi delle notti, sarà Anna a prendere il sopravvento sulla figlia, con i suoi capricci malsani, i suoi ricordi incerti, la sua vita infelice.

Le chiedo come va, mi dice che la Siberia sta andando a fuoco ma tutto sommato lei sta bene.

Lo sguardo malinconico e sfuggente

Vittorio Punzo ha saputo costruire una storia fatta di sottintesi, scritta con stile (originale perfino l’uso della punteggiatura), ma soprattutto ha saputo dare al romanzo una credibilità interna estremamente solida, il che rappresenta davvero un prodigio considerate le tematiche affrontate, l’ambiguità e lo sguardo sul mondo, malinconico e sfuggente, affidato a personaggi che di per sé non sono per niente affidabili. Per l’abilità con cui confonde il lettore, inducendolo a dubitare pagina dopo pagina, l’autore mi ha ricordato Daphne du Maurier, per esempio in “Mia cugina Rachele; o certe storie dai tratti Manga, sebbene in questo caso manchi l’elemento fantastico che Punzo sembra quasi voler rimpiazzare con soggetti fortemente evocativi come i personaggi secondari del romanzo, gli animali o le piante che tengono compagnia ad Anna, o la musica che si avverte in sottofondo. Ultima considerazione, la copertina (rielaborazione grafica di Luca Verduchi): stupenda, semplicemente stupenda.

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