L’arte? Vocazione e fatica. Tolstoj contro gli intellettuali

“La verità della vita” è una lettera di Lev Tolstoj, in cui esalta il lavoro manuale e attacca i “partigiani della scienza e dell’arte”, l’elitaria casta antipopolare e parassita che coltiva l’arte senza sacrifici e sofferenze. Anticipa di vent’anni il suo noto trattato “Che cos’è l’arte?”

Sciascia se la prendeva con i “professionisti dell’antimafia”? Tolstoj, invece, si scagliava contro i “partigiani della scienza e dell’arte”, ovvero la casta degli intellettuali, in qualche modo il canone, l’elitaria aristocrazia antipopolare, coloro che ai suoi occhi coltivavano privilegi, imposture, superstizioni: alle loro attività parassitarie preferiva il lavoro manuale, concretamente utile, che regala felicità a chi lo compie e agli altri, a chi ne gode. La condanna dell’arte è lo scheletro centrale di Che cos’è l’arte?, trattato filosofico, piuttosto estremo e tranchant in alcuni giudizi, di Lev Tolstoj, che vedrà la luce nel 1897. Ma c’è un breve testo, fin qui inedito in Italia, che dimostra come certe posizioni fossero state coltivate da almeno un paio di decenni.

Una lettera in francese

Le considerazioni dell’immenso scrittore russo (quante volte vi siete chiesti se fosse lui o Dostoevskij il vostro russo preferito, senza sapervi dare una risposta?) sono contenute in un volume di una preziosa collana dell’editore Castelvecchi, Cahiers. La verità della vita (41 pagine, 7 euro), tradotto da Chiara Calcagno, contiene una prefazione di Charles Péguy e un’introduzione di Romain Rolland, destinatario di quella che è una lettera, datata 1877, scritta da Tolstoj in francese, lingua che padroneggiava, con alcune frasi cancellate, poi riportate nelle note. Eppure Tolstoj è in grado di dire esattamente quel che pensa, con una chiarezza smagliante, invidiabile, con un nitore totale.

Per esempio:

Non crederò mai alla sincerità delle convinzioni cristiane, filosofiche o umanitarie di una persona che fa svuotare il proprio vaso da notte a un servo.

E ancora di più:

La formula morale più semplice e breve è essere serviti dagli altri il meno possibile e servire gli altri il più possibile. Pretendere il meno possibile dagli altri e dare loro il più possibile.

Senza rischi e rinunce spazio solo a mestieranti

Ma… tornando alla cultura. Il genio russo, che godeva già di fama mondiale (aveva inanellato Guerra e Pace, Anna Karenina e La morte di Ivan Il’ic), crede all’arte come vocazione, pensa che sia una strada eccezionale da percorrere, che preveda rischi, fatica, rinunce. Altro che sacerdoti della civiltà! Farisei, mestieranti, narcisi e mistificatori, mossi non da ragioni di ordine morale, Lev Tolstoj li gela con poche chirurgiche frasi. Solo l’antipasto gustoso di quanto teorizzerà vent’anni più tardi, e di quanto sosterrà a più riprese: l’etica più dell’estetica, il sacro e il divino più della bellezza e del piacere, e la verità, la sincerità, l’onestà intellettuale al di sopra di tutto.

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