Il debutto nella narrativa di Giovanni Di Marco, un estratto

Da domani in libreria, per Baldini+Castoldi, “L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” (432 pagine, 20 euro), primo romanzo di Giovanni Di Marco, classe 1975, giornalista e firma di LuciaLibri. Il romanzo di Giovanni Di Marco è ambientato nei primi anni Ottanta, in un paesino dell’entroterra siciliano; il protagonista è un bimbo di 7 anni, Tonino, orfano, vittima delle attenzioni morbose di un sacerdote, padre Alfio. Unica speranza di salvezza Tania, giovane vicina di casa che gli farà da seconda madre, l’unica disposta a lottare per lui. Per gentile concessione dell’editore e dell’autore anticipiamo un estratto, in cui Tonino scopre una fittissima corrispondenza fra Tania e il fratello, seminarista, e intuisce che c’è dietro qualcosa di segreto e oscuro

Fu in un armadietto dello sgabuzzino che Alfredo aveva trasformato e ritrasformato in stanza da letto per il povero don Peppuccio che trovai una torre di scatole da scarpe alquanto misteriosa. Il loro contenuto era leggero e nessuna delle scatole era chiusa in maniera ermetica, bensì con dei pezzi di spago intersecati a croce. Di sicuro dentro non ci sono soldi o oggetti di valore, pensai. Mi chiesi che cosa potessero custodire. I lacci erano lenti e terminavano con un semplice fiocco.

Presi la prima e diedi una smossa leggera. Tendendo l’orecchio sentii il fruscio della carta che sfiorava le pareti interne della scatola. Mi fornii di coraggio e decisi di avventurarmi. Sciolsi il fiocco e sollevai il coperchio con cautela. All’interno c’erano lettere. Mazzi di lettere dall’odore polveroso, tutte della stessa misura, tutte inviate a Tania. Immaginai da amici, parenti, amanti, schiere di corteggiatori. Invece il mittente era sempre lo stesso: suo fratello, Marco Genovese. Cambiavano solo le date dei timbri postali sui francobolli austriaci. Aprii tutte le scatole, attento a non mischiarne l’ordine e il contenuto: Marco Genovese, Marco Genovese, Marco Genovese. Non mi restava che sbirciarne qualcuna. Ne scartai una a caso: 12 settembre 1982. La lettera era in italiano, la grafia chiara e un po’ infantile. Lo scritto occupava poco più una pagina: «… Ho seguito il tuo consiglio e ho chiesto nuova udienza all’abate Lashofer…» 

Ne pescai un’altra: «… Mi sono reso conto che la mia, ormai, è diventata un’ossessione…» Consiglio, udienza, ossessione: di che scriveva Marco? Decisi di prenderne una dalla prima scatola: 21 dicembre 1971. Anche questa era scritta in italiano. Lessi le prime righe. Marco era già in seminario a quel tempo. Non c’era nulla di eccitante, eppure quella corrispondenza così fitta mi inquietava. Ogni scatola conteneva non meno di cinquanta lettere. C’erano quattro scatole. Non riuscivo a darmi una spiegazione. Cosa avevano da dirsi due fratelli che si sentivano regolarmente al telefono? Era ovvio che c’era qualcosa di oscuro, di segreto. Dovevo partire dall’inizio. Volevo sapere, volevo capire, volevo scoprire. Mi tornarono in mente frasi sparate da Tania qua e là, pensieri che sul momento mi erano sembrati vaneggiamenti nostalgici di una ragazza a cui mancava da morire il suo unico fratello.

Sistemai le lettere, annodai i fili di spago e impilai le scatole nell’ordine esatto. 

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