Tabucchi, un viaggio nel tempo perso o sprecato

Nove racconti, ognuno con un proprio mondo e un proprio universo, compongono “Il tempo invecchia in fretta” di Antonio Tabucchi. Storie che ci ricordano di fermarci, ci chiedono di riflettere sulla bellezza e sul tempo, nonostante doveri, scadenze, necessità…

Il tempo che passa, e conta i giorni a chi vorrebbe diventare madre.
Il tempo che scappa, nelle mani di un’anziana zia sul letto d’ospedale.
Il tempo che non si ferma, nel volto di un anziano che custodisce un antico monastero.
Il tempo che crea nostalgia, di quando si era bambini e si ascoltavano – dalle voci delle madri – canti dolci e sereni.

Questioni in sospeso

Il tempo invecchia in fretta (176 pagine, 9,50 euro) di Antonio Tabucchi, pubblicato da Feltrinelli, altro non è che un viaggio nel tempo che è andato, scappato, che abbiamo perso o sprecato.
Sprecato perché non lo abbiamo capito.
Nove storie, ognuna con un proprio mondo e un proprio universo, che l’autore ha disposto nel volume senza alcuna logica precisa.
Così il lettore è catapultato da un vissuto all’altro, da un tempo all’altro, da un uomo o una donna all’altra e tutti hanno, in qualche modo, una questione in sospesa con il tempo.
Come un anziano militare, che aspetta tutta la vita – e tutto il tempo che scorrerà – per poter finalmente vivere una delle giornate più belle di sempre.

Non conoscere la bellezza della vita

Tra i vari racconti di Tabucchi, quello che più forse stringe il cuore è Clof, clof, cloffete, cloppete dove un uomo si ritrova a fare i conti con il tempo che ha bruciato mentre fa visita a una sua cara zia, in un ospedale.
Fa i conti con il tempo che ha sprecato perché lui, adulto, con anni di vissuto alle spalle, non ha compreso la bellezza della vita, dove risieda, dove la si possa trovare. Cosa invece che qualcuno, dentro quelle mura di ospedale, ha compreso. La comprende una bambina trascinata, da un’anziana infermiera, su una carrozzella.
Una bambina che non ha più capelli, che potrebbe essere confusa – da lontano – con un bambino. Ma più si avvicina, più è facilmente comprensibile che la voce sia quella di una bimba.
Parla con voce gioiosa, nonostante sia trascinata, nonostante non cammini. “Voce gioiosa, piena di vita, come quando la vita, attraverso la voce, afferma se stessa, caparbia. La bambina ripeté la frase proprio mentre gli passavano accanto, e nel parlare fece un ampio sorriso: ma questa è la cosa più bella del mondo! Ma questa è la cosa più bella del mondo! Avrebbe voluto voltarsi ma non gli riuscì. La cosa più bella del mondo. Lo aveva detto una bambina calva trascinata in carrozzella da un’infermiera. Lei sapeva qual era la cosa più bella del mondo. Lui invece non lo sapeva. Possibile che alla sua età, con tutto quello che aveva visto e conosciuto, non sapesse ancora quale era la cosa più bella del mondo?”.

Chiederselo 

Letta quest’ultima pagina del racconto, il secondo del libro, mi sono fermata. Ho poggiato gli occhiali da lettura sul divano, accanto alla pagina aperta del libro. E mi sono chiesta: e io? E io so qual è la cosa più bella del mondo?
O forse anche io, inghiottita dai doveri, dalle scadenze, dalla necessità di performare e produrre per sopravvivere, non sono mai riuscita a capire quale sia, la cosa più bella del mondo?
Il tempo invecchia in fretta, troppo in fretta. E noi lo lasciamo invecchiare. 

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