Simona Lo Iacono, una bimba per indagare il mistero di Ortese

Una riflessione sul potere delle parole e la vita tormentata della grandissima Anna Maria Ortese, «creatura troppo esterrefatta di fronte all’invisibile. Troppo consapevole della fragilità del bene». “Il mistero di Anna”, romanzo della siracusana Simona Lo Iacono, tra realtà e fantasia, vive della voce di un’alunna di scuola elementare, che trascorre una vacanza premio a Milano, a casa della scrittrice, e delle lettere che Ortese scambia con un’immaginaria amica siciliana… 

I primi a catturarvi saranno gli occhi magnetici e intensi del ritratto fotografico in copertina, un ritratto d’autore, firmato Letizia Battaglia, scomparsa lo scorso aprile. Poi tutto quello che è compreso fra la prima e la quarta di copertina, ennesimo pezzo di bravura di una scrittrice, Simona Lo Iacono, che non smette di sorprendere, a ogni opera, che si ripete, rinnovandosi, che sposa dati storici e biografici con l’immaginazione, che scrive di donne sferzate dal destino, eppure complesse e volitive, non arrendevoli, come nei precedenti romanzi Il morso (ne abbiamo scritto qui), con cui aveva vinto il premio Racalmare Sciascia, e La Tigre di Noto (ne abbiamo scritto qui), sulla scienziata Anna Maria Ciccone, realmente esistita, pubblicati da Neri Pozza, come il più recente.

Prima Tomasi, adesso Ortese

Altro contatto col passato della propria produzione, per la siracusana Simona Lo Iacono, è la per nulla timorosa rivisitazione, l’audace trasfigurazione letteraria di un personaggio di spicco del Novecento italiano: era stato Giuseppe Tomasi di Lampedusa nello struggente L’albatro, dove minuzioso è il rispetto della realtà storica e biografica, quanto felici sono gli scatti di fantasia; nel letto di una clinica romana, quello degli ultimi giorni di vita, il principe palermitano rievoca la vita, l’amore, i viaggi e le guerre, ma soprattutto un (immaginario) compagno di gioco prima e servitore fedele dopo, Antonno, in qualche modo ispiratore del non convenzionale sguardo sul mondo del romanzo Il gattopardo. Nel suo nuovo romanzo Simona Lo Iacono si confronta con un altro mito letterario, non esploso postumo come Tomasi, ma quasi, perché la serenità e il successo per Anna Maria Ortese arrivarono negli ultimi anni di vita, complici una segnalazione di Pietro Citati alla Adelphi e la fiducia della casa editrice milanese diretta da Roberto Calasso.

Un racconto e un epistolario

Ne Il mistero di Anna (159 pagine, 17 euro), Simona Lo Iacono accosta due narrazioni diverse per tempi, modi e velocità. Qualcosa di simile avveniva anche ne L’albatro, dove gli appunti in un quadernetto di un Tomasi prossimo alla morte erano in prima persona, mentre il tempo rievocato, soprattutto l’infanzia, era in terza. Nel nuovo romanzo alterna il racconto autobiografico in presa diretta di una bimba, Anna Cannavò – bimba siracusana di famiglia indigente, affascinata dalla letteratura e dal mistero, che trascorre una settimana con la Ortese, fresca vincitrice del premio Strega, e la sorella, dopo aver vinto un concorso – e lo scambio epistolare della scrittrice con una misteriosa R. La giovanissima Cannavò, alunna di quinta elementare a cui i genitori non vogliono far proseguire gli studi, riesce a stabilire un rapporto con l’introversa Anna Maria Ortese e con Maria, angelo custode della sorella.

Le parole che colpiscono

Nell’autunno del 1968 la piccola Anna trascorre alcuni giorni fondamentali per la propria vita a Milano, ospite delle sorelle Ortese. Il brio e l’ingenuità del resoconto della piccola siciliana strappano anche sorrisi (come quando sostiene che non è vero che il mare non bagna Napoli, come sembrerebbe da uno dei libri della donna di cui è ospite…), ma a squarciare orizzonti luminosi e significativi è il contatto – idillio al sapore di fiaba – che germoglia con quella che sembra un’introversa e inarrivabile creatura, che tiene una gatta cieca in grembo e sembra venire da un altro pianeta, con la sua Olivetti «su cui fa volare le dita». La grande Anna e la piccola Anna credono nella forza delle parole.

Invece di rispondere mi ha fatto una domanda: ma ti capita spesso di rimanere colpita dalle parole?

Spesso? Signorina Anna, io non faccio altro che restare colpita da tutte le parole, quelle libere e quelle oppresse. E da quelle poetiche, soprattutto, che riconosco per il semplice fatto che mi danno una sensazione di caldo, qui, ma anche di dolore. Oppure le riconosco perché, invece di farmi proseguire mi fanno fermare, o perché sono dolci ma hanno pure un certo sapore di inferno. Io mi sono ammalata di parole poetiche, signorina Anna, e sono dispiaciuta di non conoscerle tutte, perché mi sono detta che – forse – conoscerle davvero tutte, le parole, capivo meglio il mondo, ma non lo dite al direttore scolastico, vi prego, tenetevelo per voi che siete scrittrice.

Le rovine seminate ci riedificano

L’epistolario con un’insegnante siciliana, che si snoda parallelamente, dal 1952 al 1968, non è solo una felice e corposa opportunità per raccontare Anna Maria Ortese, mai abbastanza lodata, mai troppo celebrata, lungo un’esistenza che non è mai stata un fiume tranquillo. L’intermezzo è anche un congegno narrativo che si scoprirà solo alla fine del romanzo. Per il resto è un fiume in piena sulla vita ai margini di Anna Maria Ortese. Gli umani palpiti (l’amato Marcello Venturi la abbandona per un’altra donna, bella e ricca: «Lei potrà dargli molta più felicità di me, troppo esterrefatta di fronte all’invisibile. Troppo consapevole della fragilità del bene») e quelli letterari, l’uscita dal partito comunista, dopo un viaggio in Urss e un reportage con cui si è aggiudicata il premio Saint-Vincent, attirandosi le critiche di tutta o quasi l’intellighenzia del tempo. E poi gli stenti, gli infiniti traslochi, l’indissolubile legame con la sorella. Nelle difficoltà l’immaginaria amica di lettera che le affianca Simona Lo Iacono è una sorta di “gemella”, che si specchia, la sprona e la incoraggia:

Non permetta a nessuno di sottrarle la sua voce, il suo nocciolo segreto.

Non si faccia vincere da chi non sa guardarsi indietro, da chi ignora le rovine che ha seminato.

Si ricordi che sono pur sempre quelle rovine a riedificarci.

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