Nessuna differenza tra social e vita vera, il bisturi di Latronico

Nella nostra epoca è complesso fare i conti con il fatto che ci sia sempre meno di ignoto, e sempre più bisogno di una nuova filosofia per ritrovare il piacere di sorprendersi, di decidere, di creare, al di fuori del coro. Lo si comprende chiaro e forte leggendo “Le perfezioni” di Vincenzo Latronico, in cui una coppia che vive a Berlino è perfetta solo all’apparenza, e in cui i social si riducono a un flusso pervasivo di immagini, col solo obiettivo di fare desiderare “cose”…

Stavo leggendo come spesso nel weekend la newsletter del Tascabile, nella fattispecie “Cattive abitudini”, la numero 294, dove appare uno stralcio di un articolo di Sofia Torre a proposito della scrittrice Mary Gaitskill, dice così: “Viviamo nell’epoca del benessere instagrammabile e del sorriso a tutti i costi, un’eterna Pressure to Party […]. Devi sorridere, ammiccare ed emanare vibrazioni positive, altrimenti sei devianza, non alimenti la produttività karmica che ti circonda e, in un certo senso, stai peccando. Guastare la festa agli altri con la propria infelicità – anzi, con la propria non felicità: l’infelicità presuppone sempre un certo coefficiente di malessere, mentre io cerco l’autenticità – è come rifiutarsi di partecipare al processo democratico, come disertare una guerra o lavorare poco e male”.

Non è esattamente il centro di Le perfezioni (144 pagine, 16 euro), ultimo romanzo di Vincenzo Latronico, ma ci introduce nel mood. “Produttività karmica”, “vibrazioni positive”, “benessere instagrammabile”: c’è materiale per creare un orizzonte.

Latronico, classe ’84, al suo quarto romanzo dopo Ginnastica e Rivoluzione, La cospirazione delle colombe e La mentalità dell’alveare, segna con Le perfezioni (sempre Bompiani, vincitore tra l’altro del 48° Premio Mondello) una sorta di spartiacque letterario per raccontare – senza dialoghi – la quotidianità, le aspirazioni, le insoddisfazioni, i successi fittizi e le incertezze di una coppia di giovani expat ai tempi di Instagram.

Una coppia di creativi digitali

Molto di più nel libro, ovviamente. Ma Anna e Tom, i due protagonisti, sono il filtro funzionale che l’autore sceglie per squadernare davanti agli occhi del lettore una sequela di oggetti, “cose”, situazioni, sia virtuali che reali, mode, pose, tic, tendenze, dinamiche lavorative e paradigmi culturali, nuovi approcci alla gestione del tempo, della professione, dell’amicizia, del tempo libero, della sessualità, della propria felicità. E lo fa introducendoci appunto nella vita di questa coppia di creativi digitali italiani espatriati a Berlino in cerca di una vita soddisfacente e stimolante, una Berlino conosciuta di persona da Latronico come si può comprendere dall’acutezza e dalla disinvoltura con cui vengono descritti quartieri, gallerie d’arte, appartamenti, pub e club, sino alle atmosfere da Mitteleuropa arricchite da quel pizzico di internazionalità modaiola che giovani professionisti di belle speranze apportano alla capitale tedesca scegliendola come base provvisoria per il proprio posizionamento nel mondo, che comincia sempre con l’aprire un laptop di ultima generazione sul tavolino aesthetic di una caffetteria in.

La vita che Anna e Tom si sono costruiti a Berlino la vorrebbero tutti. Anzi, viene il dubbio che abbiano speso tutte quelle energie proprio per raggiungere e impossessarsi di un preciso status, senza fermarsi prima di avere ottenuto esattamente quel tipo di vita.

Lavoro cool, stile e stabilità amorosa

Un lavoro creativo e cool, da poter svolgere senza vincolare il proprio tempo e la propria presenza agli orari di un ufficio; un appartamento perfettamente in linea con gli scatti che popolano i feed degli interior designer che tutti seguiamo sui social (con le piante al posto giusto, le luci del calore e posizionamento giusti, il giusto mix di vintage e hi-tech, le riviste che ci fanno sentire intelligenti lasciate con sprezzatura sul tavolino, stoviglie grezze e ricercate, uno stile vagamente scandinavo con tocchi di vissuto – i vinili, quel libro, una polaroid, locandine di un film d’avanguardia spagnolo…); poi il giro di conoscenti perfetto, internazionale, colto, con cui spartire le ore di svago, tra una mostra, una cena, un aperitivo impegnato, la presentazione di un evento, libro o film di cui per qualche motivo tutti stanno parlando; e una relazione stabile, che è quello che, nonostante siamo nel 2022, sembra essere ancora ciò che tranquillizza società e famiglia in un colpo solo.

Cosa può esserci che non va in questo assetto, per conquistare il quale gli ex compagni di liceo rimasti in Italia probabilmente ammazzerebbero? In realtà, una marea di cose.

Con uno stile cesellato e uno sguardo di grande distacco, che non compatisce né giudica, Latronico entra come un elegante bisturi in questo spaccato di vita, cogliendolo nella complessità di tutte le sue sfaccettature: quella professionale, quella sessuale-affettiva, quella culturale e sociale, quella politica, descrivendo per accumulo di dettagli calzanti, in una prosa che non è mai pesante ma è anzi precisa e svelta, i sogni, le aspirazioni, le disillusioni di due giovani d’oggi che potrebbero farci benissimo da controfigura.

Questa stilizzazione estetizzante, e però intelligente, godibile, del linguaggio, colpisce perché pone nero su bianco una quantità di questioni, avvicinandoci e allontanandoci – l’eliminazione dei dialoghi, ad esempio, spersonalizza, ma i personaggi risultano come di vetro, trasparenti nelle loro dinamiche interpersonali.

Social e desideri

Al centro del romanzo, abbastanza unico nel suo genere, c’è l’onnipresente ruolo dei social nella vita contemporanea, ma non dei social alla Sally Rooney – quindi un Tinder, un Twitter utilizzati come specchio di relazioni amorose difettose o perfettibili – quanto più dei social intesi come flusso pervasivo di immagini. Immagini che a loro volte raffigurano “cose”, fanno sognare “cose”, desiderare “cose”.

I social e le immagini, imprescindibili per il lavoro di creativi digitali di Anna e Tom, assumono sempre meno il ruolo di distrazione e sempre più il ruolo di vita vera, come se non vi fosse più differenza tra le due dimensioni.

Tutti volevano una pagina, un logo, una veste grafica. Tutti volevano un po’ di bellezza, intesa come una posizione unica in un sistema di differenze. Anna e Tom capivano questo bisogno in modo istintivo.

Nello stesso tempo loro stessi, professionisti in grado di soddisfare il bisogno di estetica dei loro clienti, finiscono per ritrovarsi in scacco: tenuti in ostaggio e calamitati dalle immagini, «le immagini che attraversavano il pianeta rimbalzando per la bassa orbita o sfrecciando lungo le dorsali oceaniche e arrivavano sugli schermi dei loro coetanei». «Mentre lavoravano, le immagini entravano come una bufera dalle finestre lasciate aperte in sottofondo. Mandavano un preventivo e controllavano il feed di Instagram. Le previsioni sulle ultime elezioni in patria reclamavano la loro attenzione con una notifica nella linguetta del browser. La combinazione di tasti per saltare dall’una all’altra era impressa nella loro memoria muscolare come command-c command-v».

Un senso di impostura

Questa pervasività delle “vite degli altri” sotto forma di feed da controllare e scorrere finisce per sommarsi agli altri elementi di insoddisfazione che in maniera sotterranea minano la felicità della coppia, alla ricerca di qualcosa di più vero, qualcosa capace di dare una scossa, far loro apprezzare le chance che potenzialmente avrebbero di vivere una vita piena. Lo scarto tra ciò che appare e ciò che è, come nel caso di vacanze fallimentari in posti che fotografati da loro stessi generano negli altri invidia e desiderio, comincia a generare un senso di impostura in Anna e Tom, improvvisamente consapevoli della distanza tra quello che mostrano e quello che provano.

Una realtà, nel romanzo, fortemente condizionata dal lavoro e dalla scelta di essersi trasferiti a Berlino nei primi anni Dieci spinti dalla voglia di «inventarsi, cioè di essere diversi da se stessi», avverando «l’anelito a una vita diversa che animava migliaia di esponenti di un certo segmento socioeconomico».

Il termine stesso di creativi finisce per risultare stretto ad Anna e Tom: cosa fanno, davvero? Come spiegare a famiglie che hanno fatto studi molto più semplici e tradizionali la selva di etichette cool di cui sono popolati i profili Linkedin, web developer, graphic designer, online brand strategist?

E anche la struttura della coppia, di questa relazione stabile così rassicurante, non nasconderà delle limitazioni? Non c’è di più, là fuori, in questo mondo dove tutti sperimentano toys, relazioni aperte, poliamorose, o incontri al buio con coppie e single di tutte le tendenze e gli orientamenti sessuali? Nella loro vita di coppia, Anna e Tom sembrano partner in crime, uno strano sodalizio non totalmente fittizio, dove c’è sicuramente affetto e attrazione reciproca, ma il vero collante sembra essere la sensazione di comfort zone che ciascuno dà all’altro, una sorta di «squadra che vince non si cambia». La sicurezza di un duo rodato, che conosce debolezze, mancanze, punti di forza, sa fare colpo sul mondo esterno e sorreggersi in ogni situazione, autoassolvendosi.

Ecco perché leggendo il libro si ha la sensazione che questa costante ricerca della perfezione non abbia una reale fine, non porti davvero a una soddisfazione, a un traguardo, ma si autoincrementi in un circolo vizioso in cui il senso della performance è sempre più forte, “gli altri” sono sempre più polarizzati tra spettatori desiderosi o esempi a cui tendere tramite la competizione, e tutti questi gadget, informazioni, immagini, device, aiuti che la tecnologia e il benessere ci danno, per quanto sfruttati al massimo delle loro potenzialità non riescano tuttavia a colmare un horror vacui ormai dilagante.

Sguardo calibrato e freddo sulla contemporaneità

La “ricerca, continua di validazione tramite gli oggetti coi quali ci si circonda, degli eventi ai quali si va, dello stile di vita per trovare una collocazione da qualche parte” è una corsa senza possibilità di vittoria, perché la vita sfugge ai parametri di misura, luminosità e saturazione di una foto su IG, anche quando si cerca di mantenere uno standard soddisfacente in tutti i campi del vivere associato.

Pensiamo alla deformazione con cui ci approcciamo al cibo oggi, magistralmente descritta da Latronico nel capitolo dedicato, quando scrive che «Il verdone bluastro del kale e lo smeraldo dell’avocado staccavano sui piatti di smalto a motivi bianchi e azzurri o nelle scodelle grigio chiaro di ceramica artigianale, costellati di granella di melograno e schizzi di aceto denso e nero. La patina opaca di una scheggia di ardesia faceva risaltare la brillantezza dei boccoli di formaggio fresco spruzzati di erbette e acini d’uva […]. Nei boccali di coccio sciabordavano le IPA dei microbirrifici locali, nei bicchieri a stelo si depositavano i fondi di rifermentazione dei lieviti del vino naturale». Se il cibo non è così, non va bene. 

Perciò, interessante leggere Le perfezioni, come sbirciare tra i capi iper-estetici del coloratissimo armadio in copertina, per uno sguardo calibrato e oggettivamente freddo sulla nostra contemporaneità, sull’imperante preponderanza degli oggetti, su quanto possa essere spersonalizzante la vita di un giovane oggi, su quanto sia complesso fare i conti con il fatto che, nel nostro presente, ci sia sempre meno di ignoto, e sempre più bisogno di una nuova filosofia per ritrovare il piacere di sorprendersi, di decidere, di creare, al di fuori del coro.

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