La città che degrada, l’altra metà di Francesco Jovine

“Uno che si salva” è un racconto lungo di Francesco Jovine, un dramma borghese che sembra lontano dalle coordinate e dalle dinamiche delle sue opere maggiori, storie di vinti e affreschi della civiltà contadina, ispirate da verismo e naturalismo. Protagonista un borghese di campagna e la sua difficile integrazione in una grande città…

Francesco Jovine, chi era costui? Riavvolgiamo il nastro. Molisano, classe 1902, laureato in filosofia, prese parte alla Resistenza e fu protagonista del neorealismo di impronta iperrealista, e perciò ignominiosamente dimenticato e trascurato ai nostri giorni, autore di romanzi che sono affreschi della civiltà contadina, storie di vite senza riscatto e promesse non mantenute, di braccianti ed emigrati di vinti insomma. Insegnante prima e direttore didattico successivamente, critico letterario, trapiantato a Roma, Jovine – che negli ultimi anni della propria vita si sarebbe anche iscritto al Pci – guardava dichiaratamente al verismo ottocentesco e al naturalismo francese, rifiutando le strade che conducevano a Pirandello e a D’Annunzio, per non parlare del futurismo. Censurato dal fascismo (che bandì il suo romanzo del 1934, Un uomo provvisorio), avrebbe conosciuto il successo con un romanzo del 1942, Signora Ava, e la consacrazione con il libro postumo del 1950, Le terre del sacramento. Un paio d’anni prima aveva raccolto in un volume due racconti lunghi, Tutti i miei peccati e Uno che si salva, e proprio quest’ultimo torna d’attualità grazie alla riproposta di Abbot edizioni, sigla romana che da qualche anno “predica” una certa qualità, anche con qualche ripescaggio d’autore (si pensi a Joyce Lussu, qui l’articolo).

Un provinciale e l’eco di Moravia

Un piccolo intellettuale di provincia e una complicata integrazione in città, un dramma borghese che per certi versi può far pensare ad Alberto Moravia. Non un tema inedito per Jovine, che l’ha affrontato anche altrove, ma certamente distante dai motivi essenziali del suo mondo poetico e dalle opere maggiori, quelle che gli hanno dato fama imperitura. È la strada che conduce a Uno che si salva (121 pagine, 14 euro). Borghese di campagna è Siro Baghini, maestro che annualmente sostiene esami universitari a Roma. Vuole allontanarsi dal contesto in cui è cresciuto e dalla sua famiglia, non più benestante come un tempo, ha ambizioni cittadine e l’ennesimo appello nella capitale è una buona scusa per provare a restare. Finirà a bighellonare, conversare, passeggiare, fantasticare sul futuro e soggiornare in una pensione, in compagnia di vari personaggi eccentrici (a cominciare dal barone Bàmbara, nobile siciliano decaduto). Intreccerà rapporti ambigui con le donne della famiglia De Donato, che gestiscono la pensione, diventando amante di una di loro, Anna (già fidanzata, ma non solo…) e schiavo del gioco d’azzardo in una bisca. I suoi desideri e le sue vanità crolleranno rapidamente, ma… non sveliamo altro.

Variazione sul tema?

La dicotomia campagna-città attraversa quasi tutte le pagine di questo racconto-gioiello di Francesco Jovine. Il suo protagonista, Siro, è un personaggio a tutto tondo, che spera e si deprime, mostra audacia ma fa i conti con la realtà. E con la città, degradata, anonima, che condanna alla solitudine e alla perdizione. È una variazione sul tema del destino spietato che piega gli umili? Forse, ma con maggiori implicazioni e analisi di natura psicologica. Un’opera che completa lo sguardo che possiamo posare su Francesco Jovine, scrittore ben più grande di quanto non sembri oggi.

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