Il primordiale Vonnegut e gli Usa corrosi dal consumismo

Nel debutto di Kurt Vonnegut è ritratta l’America degli anni Cinquanta, con uno sviluppo economico alle stelle che condiziona la società e gli individui. Chi legge i sedici racconti di “Baci da 100 dollari”, è portato a riconoscersi nei personaggi, nel bene e nel male. Forse perché l’autore, tutt’altro che acerbo, “vuol bene” alle sue creature, ne sferza le debolezze, ma sa anche valorizzarne gli aspetti positivi…

Quando sentiamo parlare di Kurt Vonnegut ci vengono in mente subito capolavori come Mattatoio n. 5, Galapagos (ne abbiamo scritto qui), Ghiaccio Nove, vere e proprie esperienze estatiche di lettura che certificano la sua grandezza di scrittore, la fine ironia, il dissacrante esaltare le debolezze umane, il senso del ridicolo e la capacità di passare un messaggio a chi legge senza “far la morale”; doti uniche che contribuiscono alla grandezza di un autore soprattutto quando si trovano tutte riassunte in uno stesso soggetto, come accade in questo caso. 

Per Vonnegut ci sono opere, diciamo così, primordiali, che dimostrano come questi talenti fossero innati. 

Parliamo del suo esordio, la raccolta di racconti, Baci da 100 dollari (224 pagine, 13 euro), pubblicata ad appena vent’anni, per superare le ristrettezze economiche (presente adesso nel catalogo Bompiani, con la traduzione di Vincenzo Mantovani).

Il mito del denaro

Siamo negli anni ’50, l’America di cui si parla è quella ormai corrosa dal consumismo; lo sviluppo economico è alle stelle e lo scrittore ne osserva l’impatto sulla società e sui singoli. 

Ne escono 16 racconti puliti, chiari, diretti, che raccontano vite normali alle prese con la vita quotidiana e con il proprio lavoro.

Vonnegut mette sul vetrino del microscopio il cittadino americano e il mito americano del denaro che nasce e si forma proprio negli anni ’50, ne denuncia le atmosfere intrise di arrivismi e capitalismo.

In apertura, c’è il racconto Jenny. Qui riecheggia ancora il Vonnegut distopico (ricordiamo che i primissimi racconti erano di questo tenore), che narra di un frigorifero dotato (almeno apparentemente) di sembianze ed emozioni umane femminili, nel quale lo scrittore comincia a mettere a confronto l’importanza dei sentimenti rispetto alla carriera, e sembra avvertire il cittadino americano che esiste qualcosa di più importante della dell’arricchimento al quale ormai la cultura lo vuole votato in modo monogamo e assoluto. 

Affiorano sarcasmo e ironia

La raccolta prosegue con racconti che pongono l’accento proprio sull’importanza esagerata data al denaro. 

È geniale, in questo senso, La voce dei soldi, dove l’importanza del tema diventa un artificio narrativo in cui i personaggi interloquiscono nientemeno che con un patrimonio economico. Una goduria per il lettore, perché permette di intravedere il Vonnegut più noto per l’ironia e il sarcasmo. 

Perfetti sono poi Lepizootica e Bomar, dei quali non sveliamo niente per non scalfire neppure minimamente la gioia di lettura; ma è verso la fine della raccolta che sono racchiusi i racconti che più ci fanno intravedere il Vonnegut dei suoi libri ormai cult.

Qui, il suo sense of humor si fa più consistente, il ritmo dato alla scrittura è più sostenuto, incalzante, alcuni racconti sono vere e proprie perle. Parliamo di storie come Il pool delle ragazze, Ruth e il magistrale, sferzante I ciarlatani che, da soli, contribuiscono a rendere questa raccolta apprezzabile.

Un Kurt Vonnegut che agli esordi ha già tutto quello che lo renderà famoso di lì a pochi anni a venire, uno scrittore completo che, tuttavia, secondo alcuni, in questa prova d’autore è troppo moraleggiante nei finali di storia.

Finali chiusi

Se c’è un peccato che molti addebitano allo scrittore in questa raccolta è infatti quello di aver scritto racconti chiusi. Si tratta, ovviamente, di un giudizio dato con il senno di poi, ovvero con la convinzione di un’epoca (la nostra) in cui tra i criteri di valutazione per la capacità di un autore di scrivere racconti si valutano i finali che debbono, rigorosamente, rimanere aperti.

Cosa si intenda per aperti o chiusi lo spiega il termine autoconclusivo. In Baci da 100 dollari, le storie iniziano e finiscono come dice l’autore, si concludono. In sostanza, hanno un finale. 

Il lettore non si trova di fronte a finali sospesi che gli lasciano modo di chiudere la storia secondo il proprio sentimento, Vonnegut scrive i finali che dice lui, quelli che intende utili per comunicare qualcosa ai suoi lettori. 

A ben vedere è una scelta che lo caratterizzerà per tutta la carriera; anche le sue opere più rinomate contengono valutazioni che riguardano i suoi personaggi e le loro scelte, ma ciò che colpisce in lui è la capacità di farlo, come si diceva in apertura, senza “fare la morale”. 

Il retrogusto indulgente

Da parte nostra è difficile giudicarlo un peccato, e se anche fosse sarebbe veniale. È forse il metodo che distingue di più Vonnegut da altri scrittori americani che, pure, hanno saputo parlare della classe lavoratrice americana, mettendone in luce, con sarcasmo, le debolezze e gli aspetti più decadenti. Vonnegut è un autore che in un certo senso “vuole bene” ai suoi personaggi. Anche se ne evidenzia le meschinità, tuttavia non manca di sottolinearne anche gli aspetti positivi che ne permettono la salvezza, proprio in quei finali o in quelle valutazioni che assumono quasi sempre un retrogusto indulgente. C’è sempre un misto di buio e luce nelle opere di Vonnegut che elimina quel senso di claustrofobia che lasciano le storie carveriane quando l’autore non lascia scelta ai suoi personaggi e sono prive del distacco con cui, ad esempio, Foster Wallace osserva e parla dei propri personaggi. 

Per questo il lettore di Vonnegut è portato a specchiarsi nei protagonisti di Baci da 100 dollari, e vedere molte cose di se stesso, nel bene e nel male. 

Una lettura piacevole, veloce, che intrattiene il lettore, facendogli conoscere un Vonnegut tutt’altro che acerbo, in cui è riconoscibile lo straordinario talento di un autore agli esordi.

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